Monday, May 29, 2006

Nordest

In questi anni di congiuntura economica sfavorevole per il nostro Paese, al di là dei tentativi messi in atto per cercare di superare la crisi, si fanno molte riflessioni sul futuro dell'imprenditoria italialiana, che sembra incapace di sfruttare il momento di stagnazione per riorganizzare le proprie attività e per ripartire con maggior slancio quando la ripresa (della quale si stanno avvertendo segnali sempre più significativi) si farà più sostanziosa. Il tutto va pesato nell'ottica di un'economia globale in cui i cambiamenti sono sempre più rapidi e gli errori strategici si pagano sempre più cari.
Tra le varie cause della crisi rientra sicuramente la ridotta dimensione delle imprese italiane, in particolare nel confronto coi gruppi industriali esteri. Oggi molti opinionisti imputano a questo elemento la grande difficoltà che il nostro sistema imprenditoriale ha nell'attivare il circolo virtuoso della ripresa economica, perchè le ridotte dimensioni limitano gli investimenti, spesso limitano la diffusione di sistemi gestionali manageriali, impediscono una competizione dimensionale coi concorrenti stranieri...
Queste circostanze si possono verificare nella realtà del nostro territorio. Il Nordest, quella regione economica che ha trainato l'economia italiana negli anni '90 e che per ultima ha risentito della crisi economica, appare ora come quella più in difficoltà. Ovviamente opinionisti, politici, professori universitari non mancano di far notare come il "miracolo economico" nordestino abbia fatto il suo tempo, sia sfumato e sorpassato, proprio a causa del nanismo imprenditoriale che in queste regioni ha conosciuto il suo apice. Qualche volta questa situazione viene perfino derisa, sbeffeggiata, quasi a dire "ma dove volevano andare 'sti pazzi, chi si credevano di essere?". Gli stessi poi si prodigano a suggerire la ricetta giusta per superare questa situazione di difficoltà: accorpamento e crescita dimensionale, investimenti in tecnologia, impegno in settori diversi dal manifatturiero, ormai conquistato dal Far East. A parte il fatto che dicendo tutti le stesse cose questi sedicenti "maghi" delle strategie aziendali dimostrano di essersi imparati la lezione a memoria per recitarla ogni qual volta si chiede loro un'opinione sulla situazione economica, va riscontrato come questi signori si siano dimenticati di quanto elogiavano l'imprenditoria triveneta per la sua capacità di competere, per la sua flessibilità (6/7 anni fa). Probabilmente ora quest'opinione è passata di moda e quindi sono passati al considerare il nordest un territorio economico senza futuro se non segue i loro dettami. Qualcuno è arrivato a fare considerazioni del tipo "Cavolo, l'Italia è in crisi perchè il Nordest si è bloccato!". Neanche fosse colpa del Nordest se una parte dell'Italia viaggia a rimorchio da mezzo secolo.
Il Nordest e la sua gente ha tanti difetti, è innegabile: sacche di povertà (magari meno che altrove) ci sono anche qui, degrado sociale ce n'è anche qui, problemi per i giovani ce ne sono anche qui, lo sgretolamento del sistema familiare c'è anche qui. Ma la freddezza, il distacco, la scientificità con cui, parimenti ai successi economici di questa regione, sono stati fatti emergere anche i problemi sociali e culturali che lo sviluppo stesso ha portato con sè, dimostrano l'enorme invidia di coloro che hanno cercato di giudicare questo fenomeno dall'esterno, delusi dal fatto di non poter esser parte di quella corsa che sembrava infinita, e che invece all'inizio del XXI secolo si è fermata. Così giudizi ed editoriali di fuoco in cui emergeva un Nordest opulento ma senz'anima, il popolo "dei schei" che fino a pochi decenni prima moriva di fame, la ex sacrestia d'Italia che ora sembrava diventata il luogo del peccato, un popolo di leghisti, neofascisti, xenofobi, dei senza cultura, degli ignoranti che vivevano per lavorare anzichè lavorare per vivere, tanto da farsi ammazzare dai figli cui non bastava più neanche farsi mantenere (Pietro Maso docet). Chi ha scritto o pensato questo del Nordest non ha capito niente del suo successo economico e del declino seguente.
Questa è una terra fatta di persone che dopo essere state, per generazioni, schiave del lavoro dei campi (a fittanza o a mezzadria), sono prima riuscite a diventare proprietarie dei campi che lavoravano (nel secondo dopoguerra), sacrificando sè stesse e le proprie famiglie per strappare dalla terra il proprio sostentamento. Poi, con l'avvento industriale e il benessere che ha portato, hanno cominciato a girare i soldi, il denaro. Solo che, invece di spenderlo in un miglioramento del tenore di vita, il denaro, questa gente ha pensato di usarlo per creare un'attività in proprio, per essere "paroni" di qualcosa. E questo perchè la gente si ricordava quanto difficile era stato poter comprare la terra che si lavorava e quanto grama era la vita legati ad un "paron". Così naquero famiglie che al mattino di giorno avevano la propria attività, artigianale o piccolo industriale, la sera i campi e glòi orti da lavorare genitori, figli e a volte anche i nipoti insieme. Per i dipendenti era lo stesso: tutti più o meno speravano un giorno di aprire un'attività loro e intanto lavoravano come muli, anche perchè il clima che si creava nelle imprese era quello della collaborazione tra paroni e dipententi, collaborazione che veniva ricompensata e permetteva di creare quell'atmosfera di industriosità che gli studiosi dei distretti spesso citano.
Negli anni '90 cominciano i problemi perchè la nuova generazione, che ha studiato un pò di più dei genitori e si trova i soldi in mano, guarda oltre il proprio giardino e sogna la vita mondana delle metropoli. Questa generazione non ha più voglia di lavorare come muli, di sporcarsi le mani, di lavorare anche il sabato e magari pure la domenica. Nel frattempo si è anche dimenticata di andare in chiesa, come facevano i genitori, invece (come i genitori) continua a bere e a bestemmiare. Quando possibile gli uomini di questa generazione vanno anche a puttane, lasciando le mogli a casa coi figli. Dalla crisi sociale, che pure c'è stata, ma come c'è stata in tutta Italia (in realtà più tardi e meno che altrove), si passa alla crisi economica. I padri non capiscono che per continuare a fare schei, invece che lasciare ai figli così descritti, devono trovarsi un manager che sappia far crescere in modo più organico l'azienda, che forse qualche volta era meglio passare la mano piuttosto che competere facendo i Davide contro i Golia multinazionali. Ma l'orgoglio personale, il desiderio di avere qualcosa di proprio creato dal niente, la convinzione di essere in grado di fare tutto da sè si è scontrata con l'onda d'urto dell'apertura dei mercati mondiali. Il Nordest ha incassato il colpo. Un pò alla volta si riprenderà. Qualcuno chiuderà, altri troveranno nuove opportunità per fare impresa. E in questo turbine di crescita e di declino le cosidette "istituzioni" dov'erano? Erano lì a guardare questo baraccone dall'esterno, e ogni volta che pensavano di aver capito come funzionava rimanevano spiazzati perchè trovavano aspetti e realtà nuove. Possibilmente cercavano di attacarsi alla locomotiva. I giornali, dopo aver snobbato il Nordest in epoca industriale, iniziarono ad abbaiare al miracolo, la politica e i governi fecero i Dracula della situazione, le banche altrettanto. Come si può dire ad un imprenditore che non ha capito niente dello sviluppo economico quando ha dovuto, per anni, destreggiarsi tra le rincorse ai clienti che non pagavano, una politica fiscale che permise di coniare la frase "Abbiamo un socio al 50% che si chiama Stato Italiano" (orrenda, ma efficace), delle banche peggiori delle sanguisughe? Come si può dire ad un imprenditore che deve investire in innovazione tecnologica (senza sapere di cosa si tratta!) se le banche (che finanziano generosamente le grosse imprese in crisi dove arrivano periodicamente sovvenzioni statali a fondo perduto) per un finanziamento di qualche migliaio di euro ti chiedono di ipotecare casa, fabbrica beni di lusso, moglie e figli, se ogni anno l'imprenditore deve fare i salti mortali per pagare le imposte (con pressioni fiscali da regime, tipo il 48% di fine anni '90), considerando il livello infimo dei servizi pubblici? Come si fa a dire agli imprenditori che devono pagare le imposte e non fare lavoro nero se le squadre di calcio rateizzano i debiti fiscali in 10 anni causa buchi di bilancio da bancarotta?
Adesso si sente parlare, da parte dei grandi oratori prima elencati di necessità di "fare sistema", di necessità di investimenti in innovazione tecnologica, della necessità di "cittadelle dell'innovazione". Questi oratori sono per l'ennesima volta fuori strada. Primo perchè danno nuovamente la risposta alla domanda "Cosa fare?" senza rispondere al "Come fare?". Secondo perchè reputano la realtà del Nordest come una realtà omogenea. Per esigenze di ragionamento anch'io ho dovuto fare un sunto di quella che è stata la storia e di quello che è il profilo culturale del Nordest: ne esce un ritratto che può rappresentare tutti ma anche nessuno. Uno stereotipo che pur con i limiti del caso, tocca gli aspetti salienti della realtà, e cioè che la forza del Nordest sta proprio nella sua eterogeneità pur nella condivisione di una comune radice culturale; quella radice culturale che, pur con tutte le difficoltà che questo territorio ha, fa si che esso riesca a stare al passo coi tempi contando solo sulla sua forza interiore. Questa circostanza è quella che mi fa sperare chegli imprenditori sapranno per l'ennesima volta risollevarsi: forse riusciranno a farlo esattamente nella misura in cui smetteranno di ascoltare le opinioni da bar degli strateghi di prima.

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