Thursday, November 30, 2006

Finalmente...

...oggi 30 novembre 2006 ho cominciato a scrivere 'sta benedetta tesi di laurea. Si, lo so, non cambia la storia dell'umanità. Ma la storia della mia vita fa un passettino piccolino in avanti...e il contrario dell'atterraggio dell'uomo sulla luna: un piccolo passo per l'umanità ma un grande passo per Ciopa!
Va bene, concludo il momento commemorativo e mi rimetto a far qualcosa. Che è meglio.

Wednesday, October 25, 2006

Uno che la sa lunga...


Grazie a Ivan per avermi passato sta mail:

Caro Ivan,
non si possono forzare i tempi della storia, perche' le parole scorrono via sulla superficie dura delle preoccupazioni quotidiane di ciascuno.

Ma si possono piantare dei semini che diventano pian piano arbusti e poi piante. magari alla fine ci troviamo un bosco con una ecologia completa di uomini, imprese, culture e istituzioni postfordiste.
Quello che e' l'ostacolo da superare - realisticamente, senza troppa enfasi - e' il fatto che gran parte della nostra saggezza e' rivolta alle forme del passato e dunque viviamo nel presente inconsapevoli delle sue nuove dimensioni e potenzialita'.
Comunque, semino per semino ....
Saluti Enzo Rullani

Enzo Rullani è un mio professore di strategie d'impresa.
Per chi ha la fortuna di conoscerlo questo discorso suonerà familiare...dal mio punto di vista posso solo dire che avere qualche personalità di questo livello in più, nel nostro Paese, sarebbe una manna che arriva dal cielo. Mi viene un dubbio però...non è che le personalità le abbiamo, solo che sono troppo perbene per addentrarsi nel girone infernale della vita politica italiana?!
Meditate gente, meditate.



Wednesday, October 18, 2006

Scontro ideologico

È la prima presentazione de «La grande bugia. Le sinistre italiane e il sangue dei vinti», il libro in testa alle classifiche. Giampaolo Pansa ha scelto Reggio Emilia, «città di misteri, terra del triangolo della morte», e ha invitato il cronista del Corriere a intervistarlo. L’autore esordisce rievocando quanto è accaduto un anno fa, in questa stessa sala dell’hotel Astoria, al termine della presentazione del suo penultimo libro, «Sconosciuto 1945». «Si alzò un signore sulla sessantina e disse: "Io non mi sento un cittadino di serie A. Sono solo un cittadino di serie B. Perché da sessant’anni cerco le ossa di mio padre, e non le ho ancora trovate».
In quel momento nella sala entra un giovane dalla testa rasata, scaraventa una copia de «La grande bugia» sul tavolo, si avventa contro Pansa e urla: «Io sono un cittadino di serie A, e lei ha scritto un libro infame per fare soldi sulle spalle della Resistenza! ». Entrano di corsa venti giovani dei centri sociali, alcuni di Reggio, altri venuti da Roma. Lunghi capelli con le treccine, pugni chiusi. Occupano la sala, srotolano striscioni rossi con le scritte «Revisionisti assassini» e «Ora e sempre Resistenza», cantano in coro «Bella Ciao».
La sala è strapiena, e ognuno reagisce a modo suo. Un gruppo di ragazzi di destra si scaglia contro i contestatori, tenta di strappare le bandiere rosse, volano spintoni e insulti. Ma pure alcuni ex partigiani si ribellano: «Siamo comunisti da cinquant’anni ma siamo qui per ascoltare Pansa, se non lo fate parlare siete peggio dei fascisti!». Altre botte, altri insulti. Dalla prima fila, dove siedono tra gli altri il direttore della Mondadori Gian Arturo Ferrari, quello della Sperling Marco Ferrario, Paolo Pisanò, l’avvocato Odoardo Ascari e l’editorialista di Repubblica Edmondo Berselli, alcuni si alzano per stringersi attorno a Pansa, che però rifiuta di abbandonare la sala: «Sono qui per incontrare i miei lettori reggiani e non mi lascerò intimidire da un gruppo di intolleranti».
Il cronista del Corriere tenta di convincere i più disponibili al dialogo a leggere un comunicato e andarsene. «La sala è occupata, sarete voi ad andarvene! ». Altri cori di Bella Ciao, minacce, tafferugli con i fotografi. Vengono distribuiti volantini: «Pansa prezzolato/ con l’infamia c’hai speculato». Dalla sala ritmano: «Libertà! ». I ragazzi dei centri sociali urlano: «Viva i fratelli Cervi! Viva Giorgio Bocca!». Coro di «buuu». Pansa tenta di farli ragionare: «Non state rendendo un servizio alla memoria dei partigiani». Alla fine arrivano tre volanti della polizia e la sala viene sgomberata.
Lungo applauso per Pansa, che a tarda sera può cominciare a parlare. «Sono contento di quanto è avvenuto. Perché indica di quale carica d’odio sia intrisa la vita pubblica italiana, e quanti pregiudizi ideologici facciano velo al dibattito libero sulla storia. L’importante è comportarsi come abbiamo fatto noi stasera: restare calmi, non lasciarci intimidire, e rendere ognuno libero di esprimere la sua opinione. Loro, e noi». Aldo Cazzullo
Tratto dal sito
www.corrire.it

Ne parlo nuovamente. Di cosa? Di questa Italia che vuol fare il bipolarismo, che vuole modernizzarsi, che vuole essere un Paese “europeo”, che vuole rinnovare la sua politica e le idee che circolano in essa. Come può fare questo l’Italia? Come può fare questo un Paese in cui la politica e i partiti vivono ancora su queste risse da strada, su questi confronti di opposti estremismi?
L’ho detto, lo ripeto: l’Italia è un Paese che dal 1943 porta avanti una guerra civile più o meno strisciante, che sopporta nel suo cuore una faida infinita tra i suoi figli fascisti e comunisti, postfascisti e postcomunisti, di destra e di sinistra. L’egemonia della Dc nella politica italiana nasce dal fatto che la maggioranza dei cittadini, pur non essendo realmente “democristiana”, di sicuro poteva dichiararsi antifascista e anticomunista.
Eppure gli opposti estremismi sono riusciti, con la caduta della prima repubblica, a prevalere, riaprendo (per certi versi giustamente) un dibattito che solo apparentemente era sopito. Ma quando potremo consegnare la storia agli storici, come si usa dire? Quando questo Paese potrà avere una memoria condivisa di ciò che è stato il Ventennio e di ciò che è stata la Resistenza? Perfino la Germania, che ha vissuto la lacerazione della divisione in est e ovest, oggi sta riuscendo, seppur lentamente, ad essere una Nazione, con una memoria condivisa, che riesce ad isolare gli estremismi ed a bollarli come tali. In Italia qualsiasi confronto politico parte dal presupposto che chi è di centrodestra è, in fondo in fondo, un fascista, e chi è di centrosinistra non può essere che comunista. Con una piccola differenza: che se a destra i partiti dichiaratamente postfascisti valgono elettoralmente qualche decimo di punto percentuale (e per questo non sono entrati nella passata maggioranza di governo), a sinistra, nella maggioranza di governo, vi sono partiti che si richiamano esplicitamente ed orgogliosamente alla tradizione comunista, sia attraverso i nomi, sia attraverso i simboli. Sia soprattutto attraverso le ideologie. Ideologie che, anche attraverso il predominio dei luoghi di produzione culturale (scuole, università), tengono il nostro Paese fermo al secolo scorso.

Monday, October 16, 2006

I rugbysti non muoiono mai

Un anno fa ci ha lasciato Fabio. Non voglio fare orazioni inutili. Lascio che il suo ricordo sia testimoniato dalla lettera che lui ha scritto quando aveva oramai capito che il male se lo sarebbe portato via di lì a poco.
Un anno fa se n’è andato Fabio. Anzi, no. Come tutti i giocatori di rugby non se n’è andato, non è morto. I rugbysti non muoiono mai, al massimo passano la palla.


20/07/2005

Se siamo qui oggi significa che ho perso la partita. Voglio ringraziare il Rugby che per me è stato codice di vita, mi ha insegnato a sopportare in silenzio, soffrire, aiutare i miei compagni, ma soprattutto l’ importanza che qualsiasi cosa succeda, di avanzare.
Mi è stato insegnato che non si può sempre vincere, ma l’ avversario la vittoria se la deve sudare. Se tu dai il massimo di te stesso ed esci esausto non hai niente da rimpiangere ma solo complimentarti con chi è stato più forte di te.
Voglio ringraziare tutte le persone che ho conosciuto nella mia vita perché da ognuno di voi ho imparato qualcosa.
Il mio non è un addio ma un arrivederci ; intanto io vado avanti a mettere una buona parola con S. Pietro!


Ciao e grazie a tutti!!!


Fabio Nicoletti

Wednesday, September 27, 2006

4 p.m.

Fuori è un bel pomeriggio di sole veneziano. Qui in biblioteca la gente è più o meno indaffarata, chi sui libri, chi sui propri appunti, chi davanti al pc...c'è anche chi chiacchiera e chi, come me, fa poco o niente.
Mi sembra di essere da un mese davanti ad un foglio bianco.
Ho provato negli anni scorsi la frenesia, l'ansia di dover andare avanti e la fatica di non fermarsi a tutti i costi; ora sto facendo una pausa, non so quanto sarà lunga. Temo troppo. Mi sembra di essere sceso dalle montagne russe dopo aver fatto troppi giri di fila. Ragazzi, questa corsa la lascio fare a voi. Dovrei essere depresso. Confuso. Smarrito. Forse lo sono. Ma al tempo stesso non sono stato mai così sereno in vita mia. Sto bene. Riesco a rimanere calmo perfino di fronte alle situazioni che in altri periodi mi avrebbero fatto arrabbiare, imprecare, piangere. Ho la sensazione che l'università mi stia prendendo a porte in faccia eppure...eppure cosa? Forse ho capito che non è tutto nella vita, anzi.
Mi dispiace solo che da questa finestra non si possa vedere il mare. Il mare! Il mare che non mi è mai piaciuto ma che ogni tanto, ho scoperto, è bello guardare nel suo moto continuo e indifferente a noi. Quasi ad indicarci, in qualunque circostanza, che nonostante tutto quello che possiamo avere in testa, stiamo inesorabilmente vivendo.
Have a nice day!

Tuesday, September 19, 2006

La Cina è vicina

Il viaggio diplomatico del governo italiano in Cina è stato ricco di risultati...comici. Sono stati rafforzati i rapporti diplomatici, sono stati stretti accordi commerciali (in particolare dall'onnipresente presidente di Confindustria, Luca Cordero di Montezemolo, che in qualità di presidente di Fiat ha chiuso un accordo per una joint venture con investitori locali), Prodi ha dichiarato la sua disponibilità a ritirare l'embargo europeo sull'esportazione di armi alla Cina (in segno di pace, probabilmente). Infine il Ministro della Famiglia Rosy Bindi ha firmato un trattato bilaterale che faciliterà l'adozione di orfani cinesi da parte di famiglie italiane. Il Ministro ha dichiarato anche che "Ora sarà soddisfatta la rischiesta di molte famigie italiane che desiderano adottare uno di questi poveri bambini che soffrono". Comprendiamo. Resta da capire perchè teniamo gli orfani italiani negli istituti, perchè non si guarda alle esigenze, da questo punto di vista, dei paesi dell'europa orientale appena entrati nell'UE (che in quanto ad orfani...), ma si sente l'esigenza di favorire proprio le adozioni dalla Cina. Mistero.
Poi bisognerebbe chiedere ai rappresentanti italiani perchè non hanno parlato con gli interlocutori cinesi di diritti umani, di libertà civili, di immigrazione nel nostro Paese (come arrivano i cinesi? Chi li manda qui? Quando muoiono, dove vanno a finire i cadaveri? Perchè buona parte dei ristoranti cinesi sono sempre vuoti ma non chiudono per fallimento? Perchè i gestori di tali ristoranti vanno ogni settimana in banca per farsi liquidare assegni a da 5/10 mila euro?). Forse queste domande i nostri rappresentanti dovevano farsele prima di partire per il viaggio diplomatico. Magari questo è il prezzo che la Cina chiede a chi vuol fare affari nel suo territorio. Pechino val bene una messa, verrebbe da dire. Meglio di no, visto che anche i cattolici non sono proprio popolari nella terra di Mao.

Monday, September 18, 2006

Fede e ragione




Aula Magna dell’Università di Regensburg
Martedì, 12 settembre 2006

Fede, ragione e università. Ricordi e riflessioni.
...anche di fronte ad uno scetticismo così radicale resti necessario e ragionevole interrogarsi su Dio per mezzo della ragione e ciò debba essere fatto nel contesto della tradizione della fede cristiana: questo, nell'insieme dell'università, era una convinzione indiscussa.
Tutto ciò mi tornò in mente, quando recentemente lessi la parte edita dal professore Theodore Khoury (Münster) del dialogo che il dotto imperatore bizantino Manuele II Paleologo, forse durante i quartieri d'inverno del 1391 presso Ankara, ebbe con un persiano colto su cristianesimo e islam e sulla verità di ambedue...
...vorrei toccare solo un argomento – piuttosto marginale nella struttura dell’intero dialogo – che, nel contesto del tema "fede e ragione", mi ha affascinato e che mi servirà come punto di partenza per le mie riflessioni su questo tema.
Nel settimo colloquio (διάλεξις – controversia) edito dal prof. Khoury, l'imperatore tocca il tema della jihād, della guerra santa. Sicuramente l'imperatore sapeva che nella sura 2, 256 si legge: "Nessuna costrizione nelle cose di fede". È una delle sure del periodo iniziale, dicono gli esperti, in cui Maometto stesso era ancora senza potere e minacciato. Ma, naturalmente, l'imperatore conosceva anche le disposizioni, sviluppate successivamente e fissate nel Corano, circa la guerra santa. Senza soffermarsi sui particolari, come la differenza di trattamento tra coloro che possiedono il "Libro" e gli "increduli", egli, in modo sorprendentemente brusco che ci stupisce, si rivolge al suo interlocutore semplicemente con la domanda centrale sul rapporto tra religione e violenza in genere, dicendo: "Mostrami pure ciò che Maometto ha portato di nuovo, e vi troverai soltanto delle cose cattive e disumane, come la sua direttiva di diffondere per mezzo della spada la fede che egli predicava". L'imperatore, dopo essersi pronunciato in modo così pesante, spiega poi minuziosamente le ragioni per cui la diffusione della fede mediante la violenza è cosa irragionevole. La violenza è in contrasto con la natura di Dio e la natura dell'anima. "Dio non si compiace del sangue - egli dice -, non agire secondo ragione, „σὺν λόγω”, è contrario alla natura di Dio. La fede è frutto dell'anima, non del corpo. Chi quindi vuole condurre qualcuno alla fede ha bisogno della capacità di parlare bene e di ragionare correttamente, non invece della violenza e della minaccia… Per convincere un'anima ragionevole non è necessario disporre né del proprio braccio, né di strumenti per colpire né di qualunque altro mezzo con cui si possa minacciare una persona di morte…".
L'affermazione decisiva in questa argomentazione contro la conversione mediante la violenza è: non agire secondo ragione è contrario alla natura di Dio. L'editore, Theodore Khoury, commenta: per l'imperatore, come bizantino cresciuto nella filosofia greca, quest'affermazione è evidente. Per la dottrina musulmana, invece, Dio è assolutamente trascendente. La sua volontà non è legata a nessuna delle nostre categorie, fosse anche quella della ragionevolezza. In questo contesto Khoury cita un'opera del noto islamista francese R. Arnaldez, il quale rileva che Ibn Hazm si spinge fino a dichiarare che Dio non sarebbe legato neanche dalla sua stessa parola e che niente lo obbligherebbe a rivelare a noi la verità. Se fosse sua volontà, l'uomo dovrebbe praticare anche l'idolatria.
A questo punto si apre, nella comprensione di Dio e quindi nella realizzazione concreta della religione, un dilemma che oggi ci sfida in modo molto diretto. La convinzione che agire contro la ragione sia in contraddizione con la natura di Dio, è soltanto un pensiero greco o vale sempre e per se stesso? Io penso che in questo punto si manifesti la profonda concordanza tra ciò che è greco nel senso migliore e ciò che è fede in Dio sul fondamento della Bibbia. Modificando il primo versetto del Libro della Genesi, il primo versetto dell’intera Sacra Scrittura, Giovanni ha iniziato il prologo del suo Vangelo con le parole: "In principio era il λόγος". È questa proprio la stessa parola che usa l'imperatore: Dio agisce „σὺν λόγω”, con logos. Logos significa insieme ragione e parola – una ragione che è creatrice e capace di comunicarsi ma, appunto, come ragione. Giovanni con ciò ci ha donato la parola conclusiva sul concetto biblico di Dio, la parola in cui tutte le vie spesso faticose e tortuose della fede biblica raggiungono la loro meta, trovano la loro sintesi. In principio era il logos, e il logos è Dio, ci dice l'evangelista. L'incontro tra il messaggio biblico e il pensiero greco non era un semplice caso. La visione di san Paolo, davanti al quale si erano chiuse le vie dell'Asia e che, in sogno, vide un Macedone e sentì la sua supplica: "Passa in Macedonia e aiutaci!" (cfr At 16,6-10) – questa visione può essere interpretata come una "condensazione" della necessità intrinseca di un avvicinamento tra la fede biblica e l'interrogarsi greco.
In realtà, questo avvicinamento ormai era avviato da molto tempo. Già il nome misterioso di Dio dal roveto ardente, che distacca questo Dio dall'insieme delle divinità con molteplici nomi affermando soltanto il suo "Io sono", il suo essere, è, nei confronti del mito, una contestazione con la quale sta in intima analogia il tentativo di Socrate di vincere e superare il mito stesso. Il processo iniziato presso il roveto raggiunge, all'interno dell'Antico Testamento, una nuova maturità durante l'esilio, dove il Dio d'Israele, ora privo della Terra e del culto, si annuncia come il Dio del cielo e della terra, presentandosi con una semplice formula che prolunga la parola del roveto: "Io sono". Con questa nuova conoscenza di Dio va di pari passo una specie di illuminismo, che si esprime in modo drastico nella derisione delle divinità che sarebbero soltanto opera delle mani dell'uomo (cfr Sal 115). Così, nonostante tutta la durezza del disaccordo con i sovrani ellenistici, che volevano ottenere con la forza l'adeguamento allo stile di vita greco e al loro culto idolatrico, la fede biblica, durante l'epoca ellenistica, andava interiormente incontro alla parte migliore del pensiero greco, fino ad un contatto vicendevole che si è poi realizzato specialmente nella tarda letteratura sapienziale. Oggi noi sappiamo che la traduzione greca dell'Antico Testamento, realizzata in Alessandria – la "Settanta" –, è più di una semplice (da valutare forse in modo addirittura poco positivo) traduzione del testo ebraico: è infatti una testimonianza testuale a se stante e uno specifico importante passo della storia della Rivelazione, nel quale si è realizzato questo incontro in un modo che per la nascita del cristianesimo e la sua divulgazione ha avuto un significato decisivo. Nel profondo, vi si tratta dell'incontro tra fede e ragione, tra autentico illuminismo e religione. Partendo veramente dall'intima natura della fede cristiana e, al contempo, dalla natura del pensiero greco fuso ormai con la fede, Manuele II poteva dire: Non agire "con il logos" è contrario alla natura di Dio...
...Il coraggio di aprirsi all'ampiezza della ragione, non il rifiuto della sua grandezza – è questo il programma con cui una teologia impegnata nella riflessione sulla fede biblica, entra nella disputa del tempo presente. "Non agire secondo ragione, non agire con il logos, è contrario alla natura di Dio", ha detto Manuele II, partendo dalla sua immagine cristiana di Dio, all'interlocutore persiano. È a questo grande logos, a questa vastità della ragione, che invitiamo nel dialogo delle culture i nostri interlocutori. Ritrovarla noi stessi sempre di nuovo, è il grande compito dell'università.
****************
Ho avuto la pazienza di leggere il discorso del Santo Padre e, visto il caos mediatico di questi giorni, ritengo opportuno rilevare i seguenti passaggi logici:
  1. Il discorso ha ad oggetto il rapporto tra fede e ragione, non quello tra religioni;
  2. La tesi che il Papa sostiene non offende in alcun modo l'islam, dice semplicemente che la diffusione tramite spada della fede è contro Dio. A rigor di logica, tutti i mussulmani che si dichiarano moderati e che dichiarano che l'islam è la religione della pace e dell'amore, devono essere d'accordo;
  3. Il Papa non ha motivo di scusarsi. Infatti non si è scusato: si è detto "rammaricato" del fraintendimento. Cioè è irritato dal fatto che chi contesta le sue parole non voglia cercare di comprenderle, ma le usi strumentalmente;
  4. Molti mussulmani che contestano e chiedono le scuse del Papa non hanno letto il suo discorso
  5. I cortei nei Paesi islamici sono organizzati da leader politico-religiosi che sfruttano una stortura dei media e l'ignoranza del popolo per fare gli offesi, dichiarare che conquisteranno Roma abbattendone le mura (spero in senso figurato, cioè spero che sappiano che a Roma non ci sono più le mura da un pò di tempo), nonchè invitare i mussulmani ad uccidere il Papa;
  6. Gli striscioni dei cortei e le bandiere da bruciare sono fornite dagli stessi capi politico-religiosi, nonchè dai media occidentali che devono fare le foto delle bandiere bruciate;
  7. Le vignette apparse sui media arabi riguardanti il Papa sono peggio di quelle su Maometto di inizio anno; nel mondo cattolico e/o occidentale però nessuno si scandalizza;
  8. I leader politici europei, che si calano per l'ennesima volta le braghe, sono dei conigli (salvo Angela Merkel).
  9. Joseph Ratzinger è un uomo con le palle.

Angoscia



Da venerdi notte al mio paese, come in gran parte della provincia di Venezia, è scattata l’emergenza per lo straripamento dei fiumi che ha causato l’allagamento di molti quartieri e l’evacuazione di alcune famiglie. Oggi non piove. L’emergenza dovrebbe rientrare già entro stasera.
Quello che mi porterò dentro come ricord di questa esperienza, che pur non mi ha toccato in modo diretto, è l’angoscia. L’angoscia che provi per il disagio in cui si trovano i tuoi compaesani. L’angoscia nel pensare a cosa può voler dire avere l’acqua che ti entra in casa e che danneggia quello che per molti è il sacrificio di una vita (la casa appunto), nonché il luogo in cui ci si sente “al sicuro” per eccellenza. L’angoscia nel pensare ai tuoi amici che sono in questa situazione quando tu puoi fare poco o niente. L’angoscia nel sentirti inutile di fronte ad un corso d’acqua che minaccia di tracimare da un momento all’altro. L’angoscia nel pensare alle persone che sono costrette a lasciare le loro case in balia degli eventi perché in una situazione di rischio per l’incolumità personale. L’angoscia infine, nel percepire il disinteresse della gente che non è toccata da questi eventi, quasi a dire “a casa mia le cose sono a posto, quanto agli altri cazzi loro”. L’angoscia nel vedere le facce quasi divertite di chi non ha la casa a mollo, quasi a voler dire ”Che bello finalmente c’è qualcosa di divertente e di nuovo da vedere in questo paese in cui non succede mai niente”.
Qualcuno dice che la nostra è l’epoca dell’individualismo e dell’indifferenza. Quanta verità in queste parole.

Friday, September 15, 2006

Thank you





Il nemico che trattiamo da amico

Ora mi chiedono: «Che cosa dice, che cosa ha da dire, su quello che è successo a Londra?». Me lo chiedono a voce, per fax, per email, spesso rimproverandomi perché finoggi sono rimasta zitta. Quasi che il mio silenzio fosse stato un tradimento. E ogni volta scuoto la testa, mormoro a me stessa: cos' altro devo dire?!? Sono quattr' anni che dico. Che mi scaglio contro il Mostro deciso ad eliminarci fisicamente e insieme ai nostri corpi distruggere i nostri principii e i nostri valori. La nostra civiltà. Sono quattr' anni che parlo di nazismo islamico, di guerra all' Occidente, di culto della morte, di suicidio dell' Europa. Un' Europa che non è più Europa ma Eurabia e che con la sua mollezza, la sua inerzia, la sua cecità, il suo asservimento al nemico si sta scavando la propria tomba. Sono quattr' anni che come una Cassandra mi sgolo a gridare «Troia brucia, Troia brucia» e mi dispero sui Danai che come nell' Eneide di Virgilio dilagano per la città sepolta nel torpore. Che attraverso le porte spalancate accolgono le nuove truppe e si uniscono ai complici drappelli. Quattr' anni che ripeto al vento la verità sul Mostro e sui complici del Mostro cioè sui collaborazionisti che in buona o cattiva fede gli spalancano le porte. Che come nell' Apocalisse dell' evangelista Giovanni si gettano ai suoi piedi e si lasciano imprimere il marchio della vergogna.
Incominciai con «La Rabbia e l' Orgoglio». Continuai con «La Forza della Ragione». Proseguii con «Oriana Fallaci intervista sé stessa» e con «L' Apocalisse». E tra l' uno e l' altro la predica «Sveglia, Occidente, sveglia». I libri, le idee, per cui in Francia mi processarono nel 2002 con l' accusa di razzismo-religioso e xenofobia. Per cui in Svizzera chiesero al nostro ministro della Giustizia la mia estradizione in manette. Per cui in Italia verrò processata con l' accusa di vilipendio all' Islam cioè reato di opinione. (Reato che prevede tre anni di galera, quanti non ne riceve l' islamico sorpreso con l' esplosivo in cantina). Libri, idee, per cui la Sinistra al Caviale e la Destra al Fois Gras ed anche il Centro al Prosciutto mi hanno denigrata vilipesa messa alla gogna insieme a coloro che la pensano come me. Cioè insieme al popolo savio e indifeso che nei loro salotti viene definito dai radical-chic «plebaglia-di-destra». Sì, è vero: sui giornali che nel migliore dei casi mi opponevano farisaicamente la congiura del silenzio ora appaiono titoli composti coi miei concetti e le mie parole. Guerra-all' Occidente, Culto-della-Morte, Suicidio-dell' Europa, Sveglia-Italia-Sveglia. Sì, è vero: sia pur senza ammettere che non avevo torto l' ex segretario della Quercia ora concede interviste nelle quali dichiara che questi-terroristi-vogliono-distruggere-i-nostri-valori, che questo- stragismo-è-di-tipo-fascista-ed-esprime-odio-per-la-nostra-civiltà».
Sì, è vero: parlando di Londonistan, il quartiere dove vivono i ben settecentomila musulmani di Londra, i giornali che prima sostenevano i terroristi fino all' apologia di reato ora dicono ciò che dicevo io quando scrivevo che in ciascuna delle nostre città esiste un' altra città. Una città sotterranea, uguale alla Beirut invasa da Arafat negli anni Settanta. Una città straniera che parla la propria lingua e osserva i propri costumi, una città musulmana dove i terroristi circolano indisturbati e indisturbati organizzano la nostra morte. Del resto ora si parla apertamente anche di terrorismo-islamico, cosa che prima veniva evitata con cura onde non offendere i cosiddetti musulmani moderati. Sì, è vero: ora anche i collaborazionisti e gli imam esprimono le loro ipocrite condanne, le loro mendaci esecrazioni, la loro falsa solidarietà coi parenti delle vittime. Si, è vero: ora si fanno severe perquisizioni nelle case dei musulmani indagati, si arrestano i sospettati, magari ci si decide ad espellerli. Ma in sostanza non è cambiato nulla. Nulla. Dall' antiamericanismo all' antioccidentalismo al filoislamismo, tutto continua come prima. Persino in Inghilterra. Sabato 9 luglio cioè due giorni dopo la strage la BBC ha deciso di non usare più il termine «terroristi», termine-che-esaspera-i-toni-della-Crociata, ed ha scelto il vocabolo «bombers». Bombardieri, bombaroli. Lunedì 11 luglio cioé quattro giorni dopo la strage il Times ha pubblicato nella pagina dei commenti la vignetta più disonesta ed ingiusta ch' io abbia mai visto. Quella dove accanto a un kamikaze con la bomba si vede un generale anglo-americano con un' identica bomba. Identica nella forma e nella misura. Sulla bomba, la scritta: «Killer indiscriminato e diretto ai centri urbani». Sulla vignetta, il titolo: «Spot the difference, cerca la differenza».
Quasi contemporaneamente, alla televisione americana ho visto una giornalista del Guardian, il quotidiano dell' estrema sinistra inglese, che assolveva l' apologia di reato manifestata anche stavolta dai giornali musulmani di Londra. E che in pratica attribuiva la colpa di tutto a Bush. Il-criminale, il- più-grande-criminale-della-Storia, George W. Bush. «Bisogna capirli». Cinguettava «la politica americana li ha esasperati. Se non ci fosse stata la guerra in Iraq...». (Giovanotta, l' 11 settembre la guerra in Iraq non c' era. L' 11 settembre la guerra ce l' hanno dichiarata loro. Se n' è dimenticata?). E contemporaneamente ho letto su Repubblica un articolo dove si sosteneva che l' attacco alla subway di Londra non è stato un attacco all' Occidente. E' stato un attacco che i figli di Allah hanno fatto contro i propri fantasmi. Contro l' Islam «lussurioso» (suppongo che voglia dire «occidentalizzato») e il cristianesimo «secolarizzato». Contro i pacifisti indù e la-magnifica-varietà-che-Allah-ha-creato. Infatti, spiegava, in Inghilterra i musulmani sono due milioni e nella metropolitana di Londra non-trovi-un-inglese-nemmeno-a-pagarlo-oro. Tutti in turbante, tutti in kefiah. Tutti con la barba lunga e il djellabah. Se-ci-trovi-una-bionda-con-gli-occhi-azzurri-è-una-circassa». (Davvero?!? Chi l' avrebbe mai detto!!! Nelle fotografie dei feriti non scorgo né turbanti né kefiah, né barbe lunghe né djellabah. E nemmeno burka e chador. Vedo soltanto inglesi come gli inglesi che nella Seconda Guerra Mondiale morivano sotto i bombardamenti nazisti. E leggendo i nomi dei dispersi vedo tutti Phil Russell, Adrian Johnson, Miriam Hyman, più qualche tedesco o italiano o giapponese. Di nomi arabi, finoggi, ho visto soltanto quello di una giovane donna che si chiamava Shahara Akter Islam).
Continua anche la fandonia dell' Islam «moderato», la commedia della tolleranza, la bugia dell' integrazione, la farsa del pluriculturalismo. Vale a dire delle moschee che esigono e che noi gli costruiamo. Nel corso d' un dibattito sul terrorismo, al consiglio comunale di Firenze lunedì 11 luglio il capogruppo diessino ha dichiarato: «E' ora che anche a Firenze ci sia una moschea». Poi ha detto che la comunità islamica ha esternato da tempo la volontà di costruire una moschea e un centro culturale islamico simili alla moschea e al centro culturale islamico che sorgeranno nella diessina Colle val d' Elsa. Provincia della diessina Siena e del suo filo-diessino Monte dei Paschi, già la banca del Pci e ora dei Ds. Bé, quasi nessuno si è opposto. Il capogruppo della Margherita si è detto addirittura favorevole. Quasi tutti hanno applaudito la proposta di contribuire all' impresa coi soldi del municipio cioé dei cittadini, e l' assessore all' urbanistica ha aggiunto che da un punto di vista urbanistico non ci sono problemi. «Niente di più facile». Episodio dal quale deduci che la città di Dante e Michelangelo e Leonardo, la culla dell' arte e della cultura rinascimentale, sarà presto deturpata e ridicolizzata dalla sua Mecca. Peggio ancora: continua la Political Correctness dei magistrati sempre pronti a mandare in galera me e intanto ad assolvere i figli di Allah. A vietarne l' espulsione, ad annullarne le (rare) condanne pesanti, nonché a tormentare i carabinieri o i poliziotti che con loro gran dispiacere li arrestano. Milano, pomeriggio dell' 8 luglio cioé il giorno dopo la strage di Londra. Il quarantaduenne Mohammed Siliman Sabri Saadi, egiziano e clandestino, viene colto senza biglietto sull' autobus della linea 54. Per effettuare la multa i due controllori lo fanno scendere e scendono con lui. Gli chiedono un documento, lui reagisce ingaggiando una colluttazione. Ne ferisce uno che finirà all' ospedale, scappa perdendo il passaporto, ma la Volante lo ritrova e lo blocca. Nonostante le sue resistenze, dinanzi a una piccola folla lo ammanetta e nello stesso momento ecco passare una signora che tutta stizzita vuole essere ascoltata come testimone se il poverino verrà processato ed accusato di resistenza. I poliziotti le rispondono signora-ci-lasci-lavorare, e allora lei allunga una carta di identità dalla quale risulta che è un magistrato. Sicché un po' imbarazzati ne prendono atto poi portano Mohammed in questura e qui... Bé, invece di portarlo al centro di permanenza temporanea dove (anziché in galera) si mettono i clandestini, lo lasciano andare invitandolo a presentarsi la prossima settimana al processo cui dovrà sottoporsi per resistenza all' arresto e lesioni a pubblico ufficiale. Lui se ne va, scompare (lo vedremo mai più?) e indovina chi è la signora tutta stizzita perché lo avevano ammanettato come vuole la prassi.
La magistrata che sette mesi fa ebbe il suo piccolo momento di celebrità per aver assolto con formula piena tre musulmani accusati di terrorismo internazionale e per aver aggiunto che in Iraq non c' è il terrorismo, c' è la guerriglia, che insomma i tagliateste sono Resistenti. Sì, proprio quella che il vivace leghista Borghezio definì «una vergogna per Milano e per la magistratura». E indovina chi anche oggi la loda, la difende, dichiara ha-fatto-benissimo. I diessini, i comunisti, e i soliti verdi. Continua anche la panzana che l' Islam è una religione di pace, che il Corano predica la misericordia e l' amore e la pietà. Come se Maometto fosse venuto al mondo con un ramoscello d' ulivo in bocca e fosse morto crocifisso insieme a Gesù. Come se non fosse stato anche lui un tagliateste e anziché orde di soldati con le scimitarre ci avesse lasciato san Matteo e san Marco e san Luca e san Giovanni intenti a scrivere gli Evangeli. Continua anche la frottola dell' Islam vittima-dell' Occidente. Come se per quattordici secoli i musulmani non avessero mai torto un capello a nessuno e la Spagna e la Sicilia e il Nord Africa e la Grecia e i Balcani e l' Europa orientale su su fino all' Ucraina e alla Russia le avesse occupate la mia bisnonna valdese. Come se ad arrivare fino a Vienna e a metterla sotto assedio fossero state le suore di sant' Ambrogio e le monache Benedettine. Continua anche la frode o l' illusione dell' Islam Moderato. Con questa, il tentativo di farci credere che il nemico è costituito da un' esigua minoranza e che quella esigua minoranza vive in paesi lontani.
Bé, il nemico non è affatto un' esigua minoranza. E ce l' abbiamo in casa. Ce l' avevamo in casa l' 11 settembre del 2001 cioé a New York. Ce l' avevamo in casa l' 11 marzo del 2004 cioé a Madrid. Ce l' avevamo in casa l' 1, il 2, il 3 settembre del medesimo anno a Beslan dove si divertirono anche a fare il tiro a segno sui bambini che dalla scuola fuggivano terrorizzati, e di bambini ne uccisero centocinquanta. Ce l' avevamo in casa il 7 luglio scorso cioé a Londra dove i kamikaze identificati erano nati e cresciuti. Dove avevano studiato finalmente qualcosa, erano vissuti finalmente in un mondo civile, e dove fino alla sera precedente s' eran divertiti con le partite di calcio o di cricket. Ce l' abbiamo in casa da oltre trent' anni, perdio. Ed è un nemico che a colpo d' occhio non sembra un nemico. Senza la barba, vestito all' occidentale, e secondo i suoi complici in buona o in malafede perfettamente-inserito-nel-nostro-sistema-sociale. Cioé col permesso di soggiorno. Con l' automobile. Con la famiglia. E pazienza se la famiglia è spesso composta da due o tre mogli, pazienza se la moglie o le mogli le fracassa di botte, pazienza se non di rado uccide la figlia in blue jeans, pazienza se ogni tanto suo figlio stupra la quindicenne bolognese che col fidanzato passeggia nel parco. E' un nemico che trattiamo da amico. Che tuttavia ci odia e ci disprezza con intensità. Tale intensità che verrebbe spontaneo gridargli: se siamo così brutti, così cattivi, così peccaminosi, perché non te ne torni a casa tua? Perché stai qui? Per tagliarci la gola o farci saltare in aria? Un nemico, inoltre, che in nome dell' umanitarismo e dell' asilo politico (ma quale asilo politico, quali motivi politici?) accogliamo a migliaia per volta anche se i Centri di Accoglienza straripano, scoppiano, e non si sa più dove metterlo. Un nemico che in nome della «necessità» (ma quale necessità, la necessità di riempire le strade coi venditori ambulanti e gli spacciatori di droga?) invitiamo anche attraverso l' Olimpo Costituzionale. «Venite, cari, venite. Abbiamo tanto bisogno di voi». Un nemico che per partorire non ha bisogno della procreazione assistita, delle cellule staminali. Il suo tasso di natalità è così alto che secondo il National Intelligence Council alla fine di quest' anno la popolazione musulmana in Eurabia risulterà raddoppiata. Un nemico che le moschee le trasforma in caserme, in campi di addestramento, in centri di reclutamento per i terroristi, e che obbedisce ciecamente all' imam (però guai se arresti l' imam.
Peggio ancora, se qualche agente della Cia te lo toglie dai piedi col tacito consenso dei nostri servizi segreti). Un nemico che in virtù della libera circolazione voluta dal trattato di Schengen scorrazza a suo piacimento per l' Eurabia sicché per andare da Londra a Marsiglia, da Colonia a Milano o viceversa, non deve esibire alcun documento. Può essere un terrorista che si sposta per organizzare o materializzare un massacro, può avere addosso tutto l' esplosivo che vuole: nessuno lo ferma, nessuno lo tocca. (Ma quando in seguito alla strage di Londra la Francia denuncia il trattato di Schengen e perfino la Spagna zapatera pensa di imitarla, l' Italia e gli altri paesi europei rispondono scandalizzati no no). Un nemico che appena installato nelle nostre città o nelle nostre campagne si abbandona alle prepotenze ed esige l' alloggio gratuito o semi-gratuito nonché il voto e la cittadinanza. Tutte cose che ottiene senza difficoltà. Un nemico che protetto dalla Sinistra al Caviale e dalla Destra al Fois Gras e dal Centro al Prosciutto ciancia, appunto, di integrazione e pluriculturalismo ma intanto ci impone le proprie regole e i propri costumi. Che bandisce il maiale dalle mense delle scuole, delle fabbriche, delle prigioni. Che aggredisce la maestra o la preside perché una scolara bene educata ha gentilmente offerto al compagno di classe musulmano la frittella di riso al marsala cioé «col liquore». E-attenta-a-non-ripeter-l' oltraggio. Un nemico che negli asili vuole abolire anzi abolisce il Presepe e Babbo Natale. Che il crocifisso lo toglie dalle aule scolastiche, lo getta giù dalle finestre degli ospedali, lo definisce «un cadaverino ignudo e messo lì per spaventare i bambini musulmani». (Parlo, s' intende, dell' arabo con la cittadinanza italiana che mi ha denunciato per vilipendio all' Islam. Che contro di me ha scritto un lercio e sgrammaticato libello dove elencando quattro sure del Corano chiede ai suoi correligionari di eliminarmi, che per le sue malefatte non è mai stato o non ancora processato). Un nemico che in Inghilterra s' imbottisce le scarpe di esplosivo onde far saltare in aria il jumbo del volo Parigi-Miami. (Parlo, s' intende, dell' arabo con la cittadinanza inglese che per puro miracolo beccarono sulla American Airlines).
Un nemico che ad Amsterdam uccide Theo van Gogh colpevole di girare documentari sulla schiavitù delle musulmane e che dopo averlo ucciso gli apre il ventre, ci ficca dentro una lettera con la condanna a morte della sua migliore amica. (Parlo, s' intende, dell' arabo con cittadinanza olandese che probabilmente anzi spero verrà condannato all' ergastolo e che al processo ha sibilato alla mamma di Theo: «Io non provo alcuna pietà per lei. Perché lei è un' infedele»). Il nemico, infine, per il quale trovi sempre un magistrato clemente cioé pronto a scarcerarlo. E che i governi eurobei (ndr: non si tratta d' un errore tipografico, voglio proprio dire eurobei non europei) non espellono neanche se è clandestino. Continua anche il discorso sul Dialogo delle due Civiltà. Ed apriti cielo se chiedi qual è l' altra civiltà, cosa c' è di civile in una civiltà che non conosce neanche il significato della parola libertà. Che per libertà, hurryya, intende «emancipazione dalla schiavitù». Che la parola hurryya la coniò soltanto alla fine dell' Ottocento per poter firmare un trattato commerciale. Che nella democrazia vede Satana e la combatte con gli esplosivi, le teste tagliate. Che dei Diritti dell' Uomo da noi tanto strombazzati e verso i musulmani scrupolosamente applicati non vuole neanche sentirne parlare. Infatti rifiuta di sottoscrivere la Carta dei Diritti Umani compilata dall' Onu e la sostituisce con la Carta dei Diritti Umani compilata dalla Conferenza Araba. Apriti cielo anche se chiedi che cosa c' è di civile in una civiltà che tratta le donne come le tratta.
L' Islam è il Corano, cari miei. Comunque e dovunque. E il Corano è incompatibile con la Libertà, è incompatibile con la Democrazia, è incompatibile con i Diritti Umani. E' incompatibile col concetto di civiltà. E visto che ho toccato questo argomento mi ascolti bene, signor giudice di Bergamo che ha voluto incriminarmi per vilipendio all' Islam ma che non ha mai incriminato il mio persecutore per vilipendio al Cristianesimo. Nonché per istigazione all' omicidio. (Il mio). Mi ascolti e mi condanni pure. Mi infligga pure quei tre anni di reclusione che i magistrati italiani non infliggono nemmeno ai terroristi islamici beccati con l' esplosivo in cantina. Il suo processo è inutile. Finché avrò un filo di fiato io ripeterò ciò che ho scritto nei miei libri e che riscrivo qui. Non mi sono mai fatta intimidire, non mi faccio mai intimidire dalle minacce di morte e dalle persecuzioni, dalle denigrazioni, dagli insulti contro i quali Lei si è guardato bene dal proteggermi anche come semplice cittadino. Quindi si figuri se mi faccio intimidire da Lei che mi nega il costituzionale diritto di pensare ed esprimere la mia opinione. Però, prima del processo, una curiosità me la deve togliere. Nella cella mi ci terrà tutta sola o coi carabinieri che lo Stato Italiano mi ha cortesemente imposto affinché non venga ammazzata come Biagi o come Theo van Gogh? Glielo chiedo perché il ministro degli Interni dice che nelle nostre carceri oltre il cinquanta per cento dei detenuti sono musulmani, e suppongo che di quei carabinieri avrei più bisogno in galera che a casa mia. (Quanto a voi, signori del Parlamento, congratulazioni per aver respinto la proposta del ministro della Giustizia: abolire il reato di opinione. E particolari congratulazioni all' onorevole di Alleanza Nazionale che oltre ad aver gestito quel rifiuto ha chiesto di abolire il reato d' apologia del fascismo). Continua anche l' indulgenza che la Chiesa Cattolica (del resto la maggiore sostenitrice del Dialogo) professa nei riguardi dell' Islam. Continua cioé la sua irremovibile irriducibile volontà di sottolineare il «comune patrimonio spirituale fornitoci dalle tre grandi religioni monoteistiche». Quella cristiana, quella ebraica, quella islamica. Tutte e tre basate sul concetto del Dio Unico, tutte e tre ispirate da Abramo. Il buon Abramo che per ubbidire a Dio stava per sgozzare il suo bambino come un agnello. Ma quale patrimonio in comune?!?
Allah non ha nulla in comune col Dio del Cristianesimo. Col Dio padre, il Dio buono, il Dio affettuoso che predica l' amore e il perdono. Il Dio che negli uomini vede i suoi figli. Allah è un Dio padrone, un Dio tiranno. Un Dio che negli uomini vede i suoi sudditi anzi i suoi schiavi. Un Dio che invece dell' amore insegna l' odio, che attraverso il Corano chiama cani-infedeli coloro che credono in un altro Dio e ordina di punirli. Di soggiogarli, di ammazzarli. Quindi come si fa a mettere sullo stesso piano il cristianesimo e l' islamismo, come si fa a onorare in egual modo Gesù e Maometto?!? Basta davvero la faccenda del Dio Unico per stabilire una concordia di concetti, di principii, di valori?!? E questo è il punto che nell' immutata realtà del dopo-strage di Londra mi turba forse di più. Mi turba anche perché sposa quindi rinforza quello che considero l' errore commesso da papa Wojtyla: non battersi quanto avrebbe a mio avviso dovuto contro l' essenza illiberale e antidemocratica anzi crudele dell' Islam. Io in questi quattr' anni non ho fatto che domandarmi perché un guerriero come Wojtyla, un leader che come lui aveva contribuito più di chiunque al crollo dell' impero sovietico e quindi del comunismo, si mostrasse così debole verso un malanno peggiore dell' impero sovietico e del comunismo. Un malanno che anzitutto mira alla distruzione del cristianesimo. (E dell' ebraismo). Non ho fatto che domandarmi perché egli non tuonasse in maniera aperta contro ciò che avveniva (avviene) ad esempio in Sudan dove il regime fondamentalista esercitava (esercita) la schiavitù. Dove i cristiani venivano eliminati (vengono eliminati) a milioni. Perché tacesse sull' Arabia Saudita dove la gente con una Bibbia in mano o una crocetta al collo era (è) trattata come feccia da giustiziare. Ancora oggi quel silenzio io non l' ho capito e...
Naturalmente capisco che la filosofia della Chiesa Cattolica si basa sull' ecumenismo e sul comandamento Ama-il-nemico-tuo-come-te-stesso. Che uno dei suoi principii fondamentali è almeno teoricamente il perdono, il sacrificio di porgere l' altra guancia. (Sacrificio che rifiuto non solo per orgoglio cioè per il mio modo di intendere la dignità, ma perché lo ritengo un incentivo al Male di chi fa del male). Però esiste anche il principio dell' autodifesa anzi della legittima difesa, e se non sbaglio la Chiesa Cattolica vi ha fatto ricorso più volte. Carlo Martello respinse gli invasori musulmani alzando il crocifisso. Isabella di Castiglia li cacciò dalla Spagna facendo lo stesso. E a Lepanto c' erano anche le truppe pontificie. A difendere Vienna, ultimo baluardo della Cristianità, a romper l' assedio di Kara Mustafa, c' era anche e soprattutto il polacco Giovanni Sobienski con l' immagine della Vergine di Chestochowa. E se quei cattolici non avessero applicato il principio dell' autodifesa, della legittima difesa, oggi anche noi porteremmo il burka o il jalabah. Anche noi chiameremmo i pochi superstiti cani-infedeli. Anche noi gli segheremmo la testa col coltello halal. E la basilica di San Pietro sarebbe una moschea come la chiesa di Santa Sofia a Istanbul. Peggio: in Vaticano ci starebbero Bin Laden e Zarkawi. Così, quando tre giorni dopo la nuova strage Papa Ratzinger ha rilanciato il tema del Dialogo, sono rimasta di sasso. Santità, Le parla una persona che La ammira molto. Che Le vuole bene, che Le dà ragione su un mucchio di cose. Che a causa di questo viene dileggiata coi nomignoli atea-devota, laica-baciapile, liberal-clericale. Una persona, inoltre, che capisce la politica e le sue necessità. Che comprende i drammi della leadership e i suoi compromessi. Che ammira l' intransigenza della fede e rispetta le rinunce o le prodigalità a cui essa costringe. Però il seguente interrogativo devo porlo lo stesso: crede davvero che i musulmani accettino un dialogo coi cristiani, anzi con le altre religioni o con gli atei come me? Crede davvero che possano cambiare, ravvedersi, smettere di seminar bombe? Lei è un uomo tanto erudito, Santità. Tanto colto. E li conosce bene. Assai meglio di me. Mi spieghi dunque: quando mai nel corso della loro storia, una storia che dura da millequattrocento anni, sono cambiati e si sono ravveduti? Oh, neanche noi siamo stati e siamo stinchi di santo: d' accordo. Inquisizioni, defenestrazioni, esecuzioni, guerre, infamie di ogni tipo. Nonché guelfi e ghibellini a non finire. E per giudicarci severamente basta pensare a quel che abbiamo combinato sessanta anni fa con l' Olocausto. Ma poi abbiamo messo un po' di giudizio, perbacco. Ci abbiamo dato una pensata e se non altro in nome della decenza siamo un po' migliorati. Loro, no.
La Chiesa Cattolica ha avuto svolte storiche, Santità. Anche questo lei lo sa meglio di me. A un certo punto si è ricordata che Cristo predicava la Ragione, quindi la scelta, quindi il Bene, quindi la Libertà, e ha smesso di tiranneggiare. D' ammazzare la gente. O costringerla a dipinger soltanto Cristi e Madonne. Ha compreso il laicismo. Grazie a uomini di prim' ordine, un lungo elenco di cui Lei fa parte, ha dato una mano alla democrazia. Ed oggi parla coi tipi come me. Li accetta e lungi dal bruciarli vivi (io non dimentico mai che fino a quattro secoli fa il Sant' Uffizio mi avrebbe mandato al rogo) ne rispetta le idee. Loro, no. Ergo con loro non si può dialogare. E ciò non significa ch' io voglia promuovere una guerra di religione, una Crociata, una caccia alle streghe, come sostengono i mentecatti e i cialtroni. (Guerre di religione, Crociate, io ?!? Non essendo religiosa, figuriamoci se voglio incitare alle guerre di religione e alle Crociate. Cacce alle streghe io?!? Essendo considerata una strega, un' eretica, dagli stessi laici e dagli stessi liberals, figuriamoci se voglio accendere una caccia alle streghe. Ciò significa, semplicemente, che illudersi su di loro è contro ragione. Contro la Vita, contro la stessa sopravvivenza, e guai a concedergli certe familiarità.
La strage toccherà davvero anche a noi, la prossima volta toccherà davvero a noi? Oh, sì. Non ne ho il minimo dubbio. Non l' ho mai avuto. Anche questo lo dico da quattro anni. E aggiungo: non ci hanno ancora attaccato in quanto avevano bisogno della landing-zone, della testa di ponte, del comodo avamposto che si chiama Italia. Comodo geograficamente perché è il più vicino al Medio Oriente e all' Africa cioè ai paesi che forniscono il grosso della truppa. Comodo strategicamente perché a quella truppa offriamo buonismo e collaborazionismo, coglioneria e viltà. Ma presto si scateneranno. Lo stesso Bin Laden ce lo ha promesso. In modo esplicito, chiaro, preciso. Più volte. I suoi luogotenenti (o rivali), idem. Lo stesso Corriere lo dimostra con l' intervista a Saad Al-Faqih, l' esiliato saudita diventato amico di Bin Laden durante il conflitto coi russi in Afghanistan, e secondo i servizi segreti americani finanziatore di Al Qaeda. «E' solo questione di tempo. Al Qaeda vi colpirà presto» ha detto Al-Faqih aggiungendo che l' attacco all' Italia è la cosa più logica del mondo. Non è l' Italia l' anello più debole della catena composta dagli alleati in Iraq? Un anello che viene subito dopo la Spagna e che è stato preceduto da Londra per pura convenienza. E poi: «Bin Laden ricorda bene le parole del Profeta. Voi-costringerete-i-romani-alla-resa. E vuole costringer l' Italia ad abbandonare l' alleanza con l' America». Infine, sottolineando che operazioni simili non si fanno appena sbarcati a Lampedusa o alla Malpensa bensì dopo aver maturato dimestichezza con il paese, esser penetrati nel suo tessuto sociale: «Per reclutare gli autori materiali, c' è solo l' imbarazzo della scelta».
Molti italiani non ci credono ancora. Nonostante le dichiarazioni del ministro degli Interni, a rischio Roma e Milano, all' erta anche Torino e Napoli e Trieste e Treviso nonché le città d' arte come Firenze e Venezia, gli italiani si comportano come i bambini per cui la parola Morte non ha alcun significato. O come gli scriteriati cui la morte sembra una disgrazia che riguarda gli altri e basta. Nel caso peggiore, una disgrazia che li colpirà per ultimi. Peggio: credono che per scansarla basti fare i furbi cioè leccarle i piedi. Ha ragione Vittorio Feltri quando su Libero scrive che la decadenza degli occidentali si identifica con la loro illusione di poter trattare amichevolmente il nemico, nonché con la loro paura. Una paura che li induce ad ospitare docilmente il nemico, a tentar di conquistarne la simpatia, a sperare che si lasci assorbire mentre è lui che vuole assorbire. Questo senza contare la nostra abitudine ad essere invasi, umiliati, traditi. Come dico nell' «Apocalisse», l' abitudine genera rassegnazione. La rassegnazione genera apatia. L' apatia genera inerzia. L' inerzia genera indifferenza, ed oltre a impedire il giudizio morale l' indifferenza soffoca l' istinto di autodifesa cioè l' istinto che induce a battersi. Oh, per qualche settimana o qualche mese lo capiranno sì d' essere odiati e disprezzati dal nemico che trattano da amico e che è del tutto refrattario alle virtù chiamate Gratitudine, Lealtà, Pietà. Usciranno sì dall' apatia, dall' inerzia, dall' indifferenza. Ci crederanno sì agli annunci di Saad al-Faqih e agli espliciti, chiari, precisi avvertimenti pronunciati da Bin Laden and Company. Eviteranno di prendere i treni della sotterranea. Si sposteranno in automobile o in bicicletta. (Ma Theo van Gogh fu ammazzato mentre si spostava in bicicletta). Attenueranno il buonismo o il servilismo. Si fideranno un po' meno del clandestino che gli vende la droga o gli pulisce la casa. Saranno meno cordiali col manovale che sventolando il permesso di soggiorno afferma di voler diventare come loro ma intanto fracassa di botte la moglie, le mogli, e uccide la figlia in blue jeans. Rinunceranno anche alle litanie sui Viaggi della Speranza, e forse realizzeranno che per non perdere la Libertà a volte bisogna sacrificare un po' di libertà. Che l' autodifesa è legittima difesa e la legittima difesa non è una barbarie. Forse grideranno addirittura che la Fallaci aveva ragione, che non meritava d' essere trattata come una delinquente. Ma poi riprenderanno a trattarmi come una delinquente. A darmi di retrograda xenofoba razzista eccetera. E quando l' attacco verrà, udiremo le consuete scemenze. Colpa-degli-americani, colpa-di-Bush.
Quando verrà, come avverrà quell'attacco? Oddio, detesto fare la Cassandra. La profetessa. Non sono una Cassandra, non sono una profetessa. Sono soltanto un cittadino che ragiona e ragionando prevede cose che secondo logica accadranno. Ma che ogni volta spera di sbagliarsi e, quando accadono, si maledice per non aver sbagliato. Tuttavia riguardo all' attacco contro l'Italia temo due cose: il Natale e le elezioni. Forse supereremo il Natale. I loro attentati non sono colpacci rozzi, grossolani. Sono delitti raffinati, ben calcolati e ben preparati. Prepararsi richiede tempo e a Natale credo che non saranno pronti. Però saranno pronti per le elezioni del 2006. Le elezioni che vogliono vedere vinte dal pacifismo a senso unico. E da noi, temo, non si accontenteranno di massacrare la gente. Perché quello è un Mostro intelligente, informato, cari miei. Un Mostro che (a nostre spese) ha studiato nelle università, nei collegi rinomati, nelle scuole di lusso. (Coi soldi del genitore sceicco od onesto operaio). Un Mostro che non s' intende soltanto di dinamica, chimica, fisica, di aerei e treni e metropolitane: s' intende anche di Arte. L' arte che il loro presunto Faro-di-Civiltà non ha mai saputo produrre. E penso che insieme alla gente da noi vogliano massacrare anche qualche opera d' arte. Che ci vuole a far saltare in aria il Duomo di Milano o la Basilica di San Pietro? Che ci vuole a far saltare in aria il David di Michelangelo, gli Uffizi e Palazzo Vecchio a Firenze, o il Palazzo dei Dogi a Venezia? Che ci vuole a far saltare in aria la Torre di Pisa, monumento conosciuto in ogni angolo del mondo e perciò assai più famoso delle due Torri Gemelle? Ma non possiamo scappare o alzare bandiera bianca. Possiamo soltanto affrontare il mostro con onore, coraggio, e ricordare quel che Churchill disse agli inglesi quando scese in guerra contro il nazismo di Hitler. Disse: «Verseremo lacrime e sangue». Oh, sì: pure noi verseremo lacrime e sangue. Siamo in guerra: vogliamo mettercelo in testa, sì o no?!? E in guerra si piange, si muore. Punto e basta. Conclusi così anche quattro anni fa, su questo giornale.

Oriana Fallaci

Monday, September 11, 2006

Per chi, anche oggi, vuol vedere complotti ovunque

L'inventore del grande complotto
Meyssan, il francese diventato ricco negando l'attentato
Il pomeriggio dell'11 settembre 2001, Thierry Meyssan stava lavorando nel suo ufficio di Parigi. Giornalista dedito a contro-inchieste, militante cattolico-carismatico poi ultrà laico e radicale di sinistra, sposato in chiesa poi leader di campagne anti-Opus Dei, difensore della pornografia, poi delle droghe leggere, poi della libertà di espressione, Meyssan era alla scrivania nei locali del movimento «Réseau Voltaire», da lui fondato nel 1994, quando il primo aereo ha centrato la Torre Nord.
«Ho visto gli attentati in tv e ho reagito come tutti: ho pensato che era spaventoso, che era forse l'inizio di una guerra mondiale, che la storia del Pianeta stava cambiando». Ecco un raro punto di contatto di Thierry Meyssan, oggi 49enne, con il senso comune. I fatti però hanno il difetto di stancare presto, le tenebre affascinano più della luce. «Ho cominciato a fare ricerche per i miei articoli — racconta adesso Meyssan — e la versione del governo americano mi è parsa prima contraddittoria, poi chiaramente falsa. Una montatura per giustificare la politica di dominio in Medio Oriente e nel mondo». Così è nato L'incredibile menzogna. Nessun aereo è caduto sul Pentagono: 30 mila copie vendute in pochi giorni in Francia nel 2002, oltre un milione (cifre dell'autore) diffuse fino a oggi in 23 lingue (in Italia è edito da Fandango). L'anno scorso il dipartimento di Stato americano ha dichiarato Meyssan persona non grata negli Usa e ha messo online un documento che confuta nei dettagli la sua teoria.
(http://usinfo.state.gov/media/Archive/2005/Jun/28%20-581634.html).
Decine di volumi hanno smontato le tesi strampalate di Meyssan, riscuotendo un successo di pubblico infinitamente minore: la curiosità premia chi la spara grossa con l'aria di saperla lunga. E Thierry Meyssan è capace di dire cose pazzesche, simulando a meraviglia la pacatezza dell'esperto.
Meyssan è l'iniziatore di quella genia di adepti della teoria del complotto che sono proliferati poi su Internet con documentari come Loose Change. Emerge dal mucchio perché è stato il primo, il più abile, e perché gli è stata offerta una tribuna straordinaria: l'11 marzo 2002 Meyssan appare nel talk show del sabato sera Tout le monde en parle della rete pubblica France 2, ospite di Thierry Ardisson, grande star della televisione francese. L'intervista è compiacente, Meyssan a suo agio, Ardisson conclude: «Oggi negli Stati Uniti il potere è cambiato di mano», e Meyssan chiosa: «Assolutamente», davanti a milioni di telespettatori. Comincia così la celebrità di un uomo oggi ricevuto con grandi onori in Iran e giudicato un prezioso interlocutore dalla Lega Araba. Prima dell'11 settembre e dello show da Ardisson, la presenza di Thierry Meyssan nei media si concentrava in pochi, piccoli episodi. Il 13 novembre 1997 trafiletto sulla cronaca di Roma del Tempo, dove si racconta il suo arresto-happening durante una kermesse della lista Pannella: «L'esponente antiproibizionista francese consegna all'agente la dose di hashish con un voilà, poi viene prontamente portato via dal palco».
Meyssan fa tuttora parte della segreteria nazionale del «Partito radicale di sinistra» francese. Nel tempo però le sue posizioni si sono spostate fino a lambire l'estrema destra, il sito del Réseau Voltaire (www.voltairenet.org) ha ospitato lavori di negazionisti come Claude Karnoouh, difensore di Robert Faurisson. Meyssan è appena tornato da tre giorni in Libano in compagnia del comico antisemita Dieudonné, candidato alle presidenziali 2007, ma non ne è affatto imbarazzato. «Le mie posizioni convergono con quelle degli antisemiti? Non è affar mio. Io dico che la Terra è rotonda. Se anche gli antisemiti dicono che la Terra è rotonda, questo non osta alla verità dell'affermazione». Meyssan si è dedicato di recente anche alle stragi di Beslan («C'è lo zampino dei servizi americani e britannici tramite Basaiev, agente occidentale come Osama Bin Laden»), Madrid e Londra («indizi falsificati dai poliziotti»), e all'assassinio di Theo Van Gogh («possibile coinvolgimento della Cia nell'ambito di un traffico d'armi con l'Olanda»). Secondo la rete tv britannica Channel Four, con i suoi libri sul Pentagono Meyssan ha guadagnato un milione di euro, ma lui ride: «Purtroppo non è vero e mi dispiace molto. Comunque, i ricavi li ho usati per l'allargamento della mia rete di corrispondenti e informatori in tutto il mondo».
Che cosa pensa oggi dell'11 settembre, a distanza di cinque anni? «Le mie idee avanzano. Entro due anni il mio discorso sarà maggioritario in tutto il mondo. Nel 2002 ero solo, ora, secondo un sondaggio dell'Università dell'Ohio, il 36% degli americani crede a un coinvolgimento delle autorità, e nel mondo arabo l'82% della popolazione condivide il mio punto di vista». Fiammetta Venner, che gli ha dedicato L'incredibile impostore (Grasset), conferma: in certe bancarelle di Amman, L'incredibile menzogna è già un classico. Accanto ai Protocolli dei Savi di Sion eal Mein Kampf.
Stefano Montefiori

9/11. Never forget.



A volte le parole sono superflue, a volte inutili. Di parole inutili sull'evento che cinque anni fa mi pararalizzò davanti al televisore, in un soleggiato pomeriggio di settembre, ne sono state spese fin troppe. Meglio un fotogramma che rappresenta efficacemente l'angoscia e il dramma di quei momenti. Nella speranza che non si ripetano mai più.

Thursday, September 07, 2006

Italia-Francia

A due mesi dai mondiali ci hanno battuto 3 a 1. Pazienza. Mi dà solo fastidio il mare di polemiche che si stanno già scatenando per l’ennesima volta sulla nazionale di calcio (polemiche che oscureranno qualsiasi altro evento sportivo). Quando non siamo campioni del mondo abbiamo i complessi di inferiorità e dobbiamo sempre dimostrare qualcosa. Stavolta che siamo CAMPIONI DEL MONDO dobbiamo dimostrare di essercelo meritato.
Ma dove sta scritto?
Tra il cambio di guida tecnica, la condizione approssimativa di alcuni giocatori, un gol in fuorigioco, un rigore negato e il desiderio dei francesi di lavare l’onta della sconfitta del 9 luglio un risultato del genere si può giustificare. In particolare poiché NOI ABBIAMO VINTO IL MONDIALE, abbiamo giustamente festeggiato. Alcuni giocatori italiani ai primi di agosto erano ancora in Sardegna, i francesi, sia quelli che giocano in patria che gran parte di quelli che giocano all’estero, hanno cominciato il campionato già da due settimane. Ieri sera si vedeva. Significativo che gli unici azzurri da salvare siano tre milanisti Gattuso, Giardino e Pirlo, che hanno già giocato i preliminari di Champions League.
Vorrei che una volta tanto si riuscisse a non fare una polemica di una settimana per una sconfitta. Come se vincere il mondiale ti garantisse di essere veramente più forte di chiunque per 4 anni…al massimo è il contrario, cioè il coronamento del lavoro dei 2/4 anni precedenti. Poi se loro sono contenti di essersi presi questa rivincita, io gliela lascio volentieri e mi tengo la Coppa del Mondo (neanche fosse mia!).
Comunque sia, ricordando il 9 luglio io dico:”France, I have two words for you….SUCK IT!”

Sunday, August 27, 2006

P.S.

Se non avete capito niente di quanto ho scritto nel post precedente non preoccupatevi. Leggendomi, mi rendo conto che il mio tasso di cervelloticità nello scrivere sta raggiungendo livelli altissimi. Portate pazienza, miei pochi ma affezionati (?) lettori.

Friday, August 25, 2006

Estate

In bilico
tra tutti i miei vorrei
non sento più
quell’insensata voglia di equilibrio
che mi lascia qui
sul filo di un rasoio
a disegnar capriole
che a mezz’aria mai farò

Non senti che
tremo mentre canto
nascondo questa stupida allegria
quando mi guardi
non senti che
tremo mentre canto
è il segno di un’estate che
vorrei potesse non finire mai

(Estate, Negramaro)

Quante settimane sono passate da quando ho scritto l’ultima volta. Un po’ per mancanza di tempo e un po’ per scarsa vena polemica. Eppure quante cose sono successe in questi due mesi e mezzo. I mondiali vinti, calciopoli, l’estremismo islamico, la guerra in Libano. Argomenti per scrivere ce ne sarebbero stati a bizzeffe. Ma tutto sommato non sono dispiaciuto di aver evitato di inserirmi nel vortice delle polemiche che questi eventi hanno innescato. Perché mi sono dedicato un po’ a me stesso, a rendere questa estate, che è probabilmente la mia ultima estate da uomo libero (nel senso che non lavoro, faccio più o meno il mantenuto), memorabile, indimenticabile. La canzone che apre questo post riassume benissimo il senso della mia estate.
Va detto che in quanto a momenti da ricordare la nazionale di calcio mi ha dato una bella mano (aperta parentesi: Francia sucks! chiusa parentesi). Ma anche questo evento, come tutti gli altri, sarebbe stato meno bello ovvero poco significativo se non fosse stata una gioia condivisa. Quante volte ci rendiamo conto che i momenti belli sono più belli se li puoi condividere con le persone cui vuoi bene? Beh, credo che l’euforia collettiva che ha colpito l’Italia (compreso il sottoscritto e tutti quelli che hanno visto la partita e festeggiato con me) con la vittoria ai mondiali dipenda da questo. Abbiamo riscoperto forse il senso della parola comunità.
Werner Sombart, un sociologo degli inizi del ’900, sostiene, in merito alla nascita della moderna società dei consumi, che nel lungo processo che si sviluppa tra il 1200 e il 1750 e che lui denomina prima fase del capitalismo, sia avvenuto progressivamente anche il passaggio storico dalla comunità alla società, che ha comportato la scomparsa dei legami collettivi caratteristici della vita comunitaria. A ciò lo studioso aggiunge però che questo processo ha prodotto negli individui la perdita di quella rassicurante sensazione di “immortalità”, determinata dal fatto di appartenere a qualcosa che sopravvive alla morte dell’individuo, come appunto è per l'essere parte di una comunità. Pertanto, secondo Sombart, l’individuo tenta di placare quell’angoscioso senso di morte che ne deriva cercando gratificazioni nella vita materiale e soprattutto nel consumo di beni, cosa che favorisce lo sviluppo della “cultura” del consumo.
Sombart deve essere stato uno intelligente. Se fosse vivo probabilmente vedrebbe in alcuni eventi pubblici moderni, tipo l’Italia in piazza per il mondiale vinto, una sorta di modo per tornare ad una qualche forma di comunità, dopo un secolo, quello scorso, che si può senza dubbio definire il secolo del consumismo e dell’indifferenza. La società è talmente priva di valori che gli individui, spontaneamente, cercano nuove forme di aggregazione per sfuggire alla tristezza di una vita il cui tenore si misura, in molti casi, solo dal conto in banca.
Da parte mia posso dire di aver sentito, in questi mesi più che mai, il desiderio di comunicare, di stare insieme alle persone, di sentirmi parte di qualcosa che fosse condiviso. Grest, of course, perché le parrocchie e la fede sono per fortuna ancora uno dei grandi poli di aggregazione per la gente, almeno qui dalle me parti.
Ma oltre a questa ci sono state tante altre piccole situazioni, brevi eventi che hanno reso questa estate, a suo modo, indimenticabile. Grazie a Chi ha voluto che io potessi viverla.
Have a nice day!

Friday, June 02, 2006

2 giugno




...stingiamoci a coorte, siam pronti alla morte,
siam pronti alla morte l'Italia chiamò...
________________________________
Pensierino per tutti quelli che oggi, in vario modo hanno cercato di boicottare il 2 giugno (verdi, no global, comunisti, pacifinti) e poi in Parlamento si fanno garanti della democrazia e della costituzione contro la riforma costituzionale del centrodestra. Le vostre contromanifestazioni, i vostri fischi all'inno nazionale, il vosto rifiuto di fatto del concetto di Patria mi permette di qualificarvi con un solo aggettivo: INFAMI.

Monday, May 29, 2006

Nordest

In questi anni di congiuntura economica sfavorevole per il nostro Paese, al di là dei tentativi messi in atto per cercare di superare la crisi, si fanno molte riflessioni sul futuro dell'imprenditoria italialiana, che sembra incapace di sfruttare il momento di stagnazione per riorganizzare le proprie attività e per ripartire con maggior slancio quando la ripresa (della quale si stanno avvertendo segnali sempre più significativi) si farà più sostanziosa. Il tutto va pesato nell'ottica di un'economia globale in cui i cambiamenti sono sempre più rapidi e gli errori strategici si pagano sempre più cari.
Tra le varie cause della crisi rientra sicuramente la ridotta dimensione delle imprese italiane, in particolare nel confronto coi gruppi industriali esteri. Oggi molti opinionisti imputano a questo elemento la grande difficoltà che il nostro sistema imprenditoriale ha nell'attivare il circolo virtuoso della ripresa economica, perchè le ridotte dimensioni limitano gli investimenti, spesso limitano la diffusione di sistemi gestionali manageriali, impediscono una competizione dimensionale coi concorrenti stranieri...
Queste circostanze si possono verificare nella realtà del nostro territorio. Il Nordest, quella regione economica che ha trainato l'economia italiana negli anni '90 e che per ultima ha risentito della crisi economica, appare ora come quella più in difficoltà. Ovviamente opinionisti, politici, professori universitari non mancano di far notare come il "miracolo economico" nordestino abbia fatto il suo tempo, sia sfumato e sorpassato, proprio a causa del nanismo imprenditoriale che in queste regioni ha conosciuto il suo apice. Qualche volta questa situazione viene perfino derisa, sbeffeggiata, quasi a dire "ma dove volevano andare 'sti pazzi, chi si credevano di essere?". Gli stessi poi si prodigano a suggerire la ricetta giusta per superare questa situazione di difficoltà: accorpamento e crescita dimensionale, investimenti in tecnologia, impegno in settori diversi dal manifatturiero, ormai conquistato dal Far East. A parte il fatto che dicendo tutti le stesse cose questi sedicenti "maghi" delle strategie aziendali dimostrano di essersi imparati la lezione a memoria per recitarla ogni qual volta si chiede loro un'opinione sulla situazione economica, va riscontrato come questi signori si siano dimenticati di quanto elogiavano l'imprenditoria triveneta per la sua capacità di competere, per la sua flessibilità (6/7 anni fa). Probabilmente ora quest'opinione è passata di moda e quindi sono passati al considerare il nordest un territorio economico senza futuro se non segue i loro dettami. Qualcuno è arrivato a fare considerazioni del tipo "Cavolo, l'Italia è in crisi perchè il Nordest si è bloccato!". Neanche fosse colpa del Nordest se una parte dell'Italia viaggia a rimorchio da mezzo secolo.
Il Nordest e la sua gente ha tanti difetti, è innegabile: sacche di povertà (magari meno che altrove) ci sono anche qui, degrado sociale ce n'è anche qui, problemi per i giovani ce ne sono anche qui, lo sgretolamento del sistema familiare c'è anche qui. Ma la freddezza, il distacco, la scientificità con cui, parimenti ai successi economici di questa regione, sono stati fatti emergere anche i problemi sociali e culturali che lo sviluppo stesso ha portato con sè, dimostrano l'enorme invidia di coloro che hanno cercato di giudicare questo fenomeno dall'esterno, delusi dal fatto di non poter esser parte di quella corsa che sembrava infinita, e che invece all'inizio del XXI secolo si è fermata. Così giudizi ed editoriali di fuoco in cui emergeva un Nordest opulento ma senz'anima, il popolo "dei schei" che fino a pochi decenni prima moriva di fame, la ex sacrestia d'Italia che ora sembrava diventata il luogo del peccato, un popolo di leghisti, neofascisti, xenofobi, dei senza cultura, degli ignoranti che vivevano per lavorare anzichè lavorare per vivere, tanto da farsi ammazzare dai figli cui non bastava più neanche farsi mantenere (Pietro Maso docet). Chi ha scritto o pensato questo del Nordest non ha capito niente del suo successo economico e del declino seguente.
Questa è una terra fatta di persone che dopo essere state, per generazioni, schiave del lavoro dei campi (a fittanza o a mezzadria), sono prima riuscite a diventare proprietarie dei campi che lavoravano (nel secondo dopoguerra), sacrificando sè stesse e le proprie famiglie per strappare dalla terra il proprio sostentamento. Poi, con l'avvento industriale e il benessere che ha portato, hanno cominciato a girare i soldi, il denaro. Solo che, invece di spenderlo in un miglioramento del tenore di vita, il denaro, questa gente ha pensato di usarlo per creare un'attività in proprio, per essere "paroni" di qualcosa. E questo perchè la gente si ricordava quanto difficile era stato poter comprare la terra che si lavorava e quanto grama era la vita legati ad un "paron". Così naquero famiglie che al mattino di giorno avevano la propria attività, artigianale o piccolo industriale, la sera i campi e glòi orti da lavorare genitori, figli e a volte anche i nipoti insieme. Per i dipendenti era lo stesso: tutti più o meno speravano un giorno di aprire un'attività loro e intanto lavoravano come muli, anche perchè il clima che si creava nelle imprese era quello della collaborazione tra paroni e dipententi, collaborazione che veniva ricompensata e permetteva di creare quell'atmosfera di industriosità che gli studiosi dei distretti spesso citano.
Negli anni '90 cominciano i problemi perchè la nuova generazione, che ha studiato un pò di più dei genitori e si trova i soldi in mano, guarda oltre il proprio giardino e sogna la vita mondana delle metropoli. Questa generazione non ha più voglia di lavorare come muli, di sporcarsi le mani, di lavorare anche il sabato e magari pure la domenica. Nel frattempo si è anche dimenticata di andare in chiesa, come facevano i genitori, invece (come i genitori) continua a bere e a bestemmiare. Quando possibile gli uomini di questa generazione vanno anche a puttane, lasciando le mogli a casa coi figli. Dalla crisi sociale, che pure c'è stata, ma come c'è stata in tutta Italia (in realtà più tardi e meno che altrove), si passa alla crisi economica. I padri non capiscono che per continuare a fare schei, invece che lasciare ai figli così descritti, devono trovarsi un manager che sappia far crescere in modo più organico l'azienda, che forse qualche volta era meglio passare la mano piuttosto che competere facendo i Davide contro i Golia multinazionali. Ma l'orgoglio personale, il desiderio di avere qualcosa di proprio creato dal niente, la convinzione di essere in grado di fare tutto da sè si è scontrata con l'onda d'urto dell'apertura dei mercati mondiali. Il Nordest ha incassato il colpo. Un pò alla volta si riprenderà. Qualcuno chiuderà, altri troveranno nuove opportunità per fare impresa. E in questo turbine di crescita e di declino le cosidette "istituzioni" dov'erano? Erano lì a guardare questo baraccone dall'esterno, e ogni volta che pensavano di aver capito come funzionava rimanevano spiazzati perchè trovavano aspetti e realtà nuove. Possibilmente cercavano di attacarsi alla locomotiva. I giornali, dopo aver snobbato il Nordest in epoca industriale, iniziarono ad abbaiare al miracolo, la politica e i governi fecero i Dracula della situazione, le banche altrettanto. Come si può dire ad un imprenditore che non ha capito niente dello sviluppo economico quando ha dovuto, per anni, destreggiarsi tra le rincorse ai clienti che non pagavano, una politica fiscale che permise di coniare la frase "Abbiamo un socio al 50% che si chiama Stato Italiano" (orrenda, ma efficace), delle banche peggiori delle sanguisughe? Come si può dire ad un imprenditore che deve investire in innovazione tecnologica (senza sapere di cosa si tratta!) se le banche (che finanziano generosamente le grosse imprese in crisi dove arrivano periodicamente sovvenzioni statali a fondo perduto) per un finanziamento di qualche migliaio di euro ti chiedono di ipotecare casa, fabbrica beni di lusso, moglie e figli, se ogni anno l'imprenditore deve fare i salti mortali per pagare le imposte (con pressioni fiscali da regime, tipo il 48% di fine anni '90), considerando il livello infimo dei servizi pubblici? Come si fa a dire agli imprenditori che devono pagare le imposte e non fare lavoro nero se le squadre di calcio rateizzano i debiti fiscali in 10 anni causa buchi di bilancio da bancarotta?
Adesso si sente parlare, da parte dei grandi oratori prima elencati di necessità di "fare sistema", di necessità di investimenti in innovazione tecnologica, della necessità di "cittadelle dell'innovazione". Questi oratori sono per l'ennesima volta fuori strada. Primo perchè danno nuovamente la risposta alla domanda "Cosa fare?" senza rispondere al "Come fare?". Secondo perchè reputano la realtà del Nordest come una realtà omogenea. Per esigenze di ragionamento anch'io ho dovuto fare un sunto di quella che è stata la storia e di quello che è il profilo culturale del Nordest: ne esce un ritratto che può rappresentare tutti ma anche nessuno. Uno stereotipo che pur con i limiti del caso, tocca gli aspetti salienti della realtà, e cioè che la forza del Nordest sta proprio nella sua eterogeneità pur nella condivisione di una comune radice culturale; quella radice culturale che, pur con tutte le difficoltà che questo territorio ha, fa si che esso riesca a stare al passo coi tempi contando solo sulla sua forza interiore. Questa circostanza è quella che mi fa sperare chegli imprenditori sapranno per l'ennesima volta risollevarsi: forse riusciranno a farlo esattamente nella misura in cui smetteranno di ascoltare le opinioni da bar degli strateghi di prima.

Non mancate

Giovedì 1 giugno 2006
New Age Club
Roncade (Tv)
Emergenza 2006 - Finali di zona
ore 24.00
Emotive in concert

Thursday, May 25, 2006

Industriali soli

Gli industriali italiani in questi anni "...si sono sentiti troppo soli...". E' il rimprovero che Luca Cordero di Montezemolo, muove alla politica, ma non solo, parlando all'affollata platea dell'Assemblea pubblica di Confindustria

....beh, adesso avranno Visco attaccato alla giugulare.... e non si sentiranno più soli.

C-day


Domani, venerdì 26 maggio mandiamo tutti una email agli indirizzi mediaset@mediaset.com e ufficiostampa@mediaset.com con scritto "Costanzo vai in pensione!", eventualmente integrata da una breve motivazione. Aiutiamo Maurizio ad andare in pensione. Liberiamo Canale 5 e Buona Domenica.
Sosteniamo questa iniziativa di costanzovainpensione.splinder.com

Delusi dal Giro


Per chi segue il ciclismo ed il Giro d'Italia, ieri ero a Plan de Corones, in cima alla salita che non è stata affrontata causa maltempo. Inutile dirvi che non ho visto i corridori e che ho speso 50 euro di benzina e 7 euro di funivia per andare a prendere freddo a 2273 metri s.l.m.. Stamattina ho scritto ad un giornalista della Gazzetta dello Sport (che organizza la manifestazione) facendo alcune considerazioni su come è stata gestita la vicenda.

Gentile Sig. Ghisalberti,
Le scrivo in merito alle scelte effettuate dagli organizzatori del Giro con riguardo al tracciato della tappa di ieri, Termeno-Plan de Corones. O dovrei dire Termeno-Passo Furcia, visto com’è finita.
Io, tanto per spiegarle i motivi che mi hanno spinto a scrivere, ero uno dei tifosi presenti in cima all’ultima salita, il Plan de Corones appunto. Non voglio raccontarLe le reazioni dei tifosi alla notizia che la tappa sarebbe arrivata in cima al Furcia e non fin lassù dov’eravamo noi, perché non sarebbe utile a chiarire alcuni aspetti che vorrei esporLe in merito alle vicende vissute ieri.
Premetto che, pur deluso, ho compreso nel merito la scelta dell’organizzazione di non arrivare in cima. Francamente non riesco a comprenderne il metodo.
Sono arrivato in cima a Plan de Corones ieri verso le 10.30. In quel momento faceva abbastanza freddo e cominciava a nevischiare. Tuttavia, sentite le prime voci di annullamento, ho avvicinato responsabili dell’organizzazione che mi confermavano l’arrivo in cima poiché la strada era in buone condizioni ed il meteo prevedeva miglioramenti nel pomeriggio. Con il susseguirsi delle ore la situazione atmosferica non migliorava e nuove voci di annullamento si accavallavano (ovviamente a noi arrivavano in modo frammentario notizie riguardo all’ammutinamento dei corridori prima, e riguardo all’accorciamento del tracciato poi). Quando, verso le 16.00, ormai tutti stavano prendendo posto lungo l’ultimo tratto di salita e i parenti da casa ci confermavano che su Raitre si annunciava l’arrivo in cima, abbiamo appreso dell’anticipazione dell’arrivo a Passo Furcia.
La scelta non dipende dalle condizioni della strada, che era in buone condizioni malgrado il maltempo (questo lo hanno ribadito tutti). La scelta dipende dal tempo avverso. Ho visto poche corse annullate per maltempo (mi viene in mente la tappa del Colle dell’Agnello, ma quella fu annullata per una slavina, rischio che ieri non sussisteva). Vorrei capire cosa si cela dietro alle parole "rischio per la sicurezza dei corridori" (quale rischio, quello di prendere freddo?). Vorrei capire perché i cicloamatori arrivavano in cima infreddoliti (qualcuno anche senza i gambali) ma senza particolari problemi. Tuttavia posso lasciare da parte tutte queste obiezioni e considerare la scelta dell’organizzazione opportuna per venire incontro alle esigenze degli atleti, preoccupati di cosa potevano trovare per la strada. Ma a questo punto devo porLe alcune domande:
Perché non si è preferito accorciare la tappa fin dall’inizio, visto che la situazione meteo alle 16.00 non era peggiore rispetto alle 12.00?
Perché gli organizzatori volevano partire con il percorso normale e poi, su pressione dei corridori, hanno rinunciato perfino al pezzo forte di questo Giro, e cioè i 5 Km. di sterrato che portavano in cima al Plan?
Perché i corridori, che accettano di correre la Roubaix su strade in condizioni da terzo mondo, si sono ammutinati in modo così compatto e deciso, viste anche le parole (sarebbe meglio dire il delirio) di Bettini a fine corsa?
Perché nessuno ha pensato ai tifosi in cima a Plan de Corones?
Il freddo lo abbiamo preso anche noi, forse soprattutto noi. Se l’arrivo fosse stato spostato prima ci saremmo potuti adeguare, cercando di scendere e di vedere i corridori su un altro tratto del percorso (come i più pessimisti hanno fatto). Mi chiedo perché ci sia una forte ricerca dello spettacolo, da parte degli organizzatori, se poi le tappe "epiche" vengono messe in discussione (durante il loro svolgimento!) causa maltempo. Vorrei capire perché nessun corridore, nessun giornalista si è preso la briga di ringraziare i tifosi che hanno atteso inutilmente per ore.
A molti è venuto un sospetto, che non mi sento di avvalorare, ma del quale la voglio edurre. Molti tifosi sostenevano che dell’annullamento molti erano a conoscenza, ma per non far perdere gli introiti degli skipass e dei bar agli operatori economici di Plan si sia fatto finta di niente fino all’ultimo momento. Io non credo in questa tesi, però questo pensiero può darLe il livello di delusione dei tifosi di Plan. Tuttavia, rivedendo le immagini della tappa (una farsa nel suo svolgimento, perché fondamentalmente non si sapeva dove si doveva passare e dove si doveva arrivare) e del processo, con Leonardo Coen di Repubblica che dice "parlando con i corridori ho appreso che loro sapevano da due settimane che qui in cima non si sarebbe arrivati", mi è venuto un sospetto. Non è che i corridori, sapendo della durezza del tracciato e data la classifica ormai definita abbiano usato il maltempo come "scusa" per non disputare questa tappa così come pensata dagli organizzatori, perché in fondo la ritenevano solo uno spettacolo per i tifosi ma un "massacro" per loro? Ergo non è che i ciclisti con questo ammutinamento "telefonato e previsto", abbiano voluto punire l’organizzazione del Giro perché non li tutela abbastanza (secondo il loro punto di vista) e cerca di creare tappe spettacolari e d’altri tempi?
Pur comprendendo le preoccupazioni legittime dei corridori, se il mio ragionamento fosse corretto vorrebbe dire che i ciclisti stanno diventando spocchiosi come calciatori. La mia ipotesi è sostenuta dal fatto che al Tour de France, dove probabilmente ci sono più soldi da prendere, gli stessi corridori non aprono mai bocca riguardo alle scelte spesso cervellotiche dell’organizzazione. E con scelte come quella di ieri i corridori rischiano di incrinare il legame speciale che nel ciclismo, tifosi ed atleti hanno da sempre. E il legame speciale sta nelle fatiche, e nei rischi, che il corridore accetta di affrontare facendo questo mestiere, e nel fascino che questa scelta suscita nei tifosi. Molti invece dicono che il ciclismo è uno sport che ha tanti tifosi perché non si paga per vederlo. Se anche i corridori hanno iniziato a pensare questo è la fine. Io ieri ho speso 50 euro di benzina e 7 euro di skipass, inutilmente. Molti altri si sono presi oltretutto un giorno di ferie. Non ne faccio una questione di soldi, ma dato il ragionamento appena fatto, provocatoriamente Le chiedo: il rimborso dei miei 57 euro a chi devo chiederlo? Alla Rai? A Rcs? Ai corridori?

Codiali Saluti
Francesco (Scorzè-Venezia)

Friday, May 19, 2006

(No?) global

Adesso che con alcuni loro "illustri " esponenti si sono avvicinati, e di molto, a posizioni di governo, tacciono. Probabilmente apettano al varco i loro compagni, pronti a rinfacciare loro la perdita dello "spirito di lotta", sostituito con l'adesione al potere. Sto parlando dei "no global", di questo eterogeneo movimento che da alcuni anni imperversa ormai in tutto il mondo. Non sono mai stato comprensivo con le loro tesi, nè tantomeno con i loro metodi di protesta. Ma stavolta voglio fare un ragionamento non sul fatto che abbiano ragione o torto, ma su come questo movimento sia in realtà una galassia eterogenea di idee e comportamenti non solo diversi, ma anzi opposti.
Il movimento no global nasce sostanzialmente a Seattle, negli Stati Uniti, nel 1999. Durante la riunione del WTO (World Trade Organization) un grosso gruppo di manifestanti assediò per giorni l'area circostante alla sede delle riunioni. Da lì iniziò il pellegrinaggio dei gruppi e delle associazioni aderenti a questo movimento in tutte le città sedi di incontri di vertici politico-economici internazionali. Su tutte spunta la città di Genova, sede del G8 del 2001, evento ricordato più che altro per i tristi fatti che accaddero proprio durante le manifestazioni di protesta.
Il problema concettuale che mi sono sempre posto, cercando di capire quali componenti costituissero un movimento così eterogeneo, è la seguente: ma cos'hanno da spartire questi gruppi tra loro? La risposta, per gran parte di loro, è: l'odio per gli Stati Uniti, per i Paesi industrializzati e per le multinazionali, causa di tutti i mali del mondo. Ripeto, non scrivo per giudicare le opinioni. Il problema che mi pongo è più grave, e di tipo diverso. Oltre a questo legame i no global condividono poco.
In primo luogo alcuni di essi condividono la violenza dei gruppi più estremisti, (anarchici, black block o semplici teppisti), ed altri no. E già questa mi sembra una discriminante grave. Attenzione: chi condanna a parole i violenti, non creando poi un servizio d'ordine nei cortei e dando la colpa degli scontri sistematici all'atteggiamento (a loro dire fascista) della polizia, è assimilabile a chi le violenze le pratica. Ovviamente può capitare, nel momento in cui si manifestano in modo pacifico le proprie idee, di spaccare qualche vetrina; è l'atteggiamento della polizia che istiga i compagni a fare questo.
L'altra grande divisione, a mio avviso, è quella tra localisti e mondialisti. Vi sono dei gruppi che, ad esempio, sostengono il diritto dei migranti e delle popolazioni del terzo mondo di non venire snaturati nella loro cultura e nelle loro tradizioni. Col risultato di puntare a dar vita ad una cultura "mondiale", una miscellanea di culture (in particolare del terzo mondo), quasi da contrapporre alla cultura mondiale dominante, costituita dal lifestyle anglo-americano, che gli Stati Uniti e le multinazionali vorrebberro imporre. I "cittadini del mondo" che propongono questa cultura mondialista si riuniscono in quelle manifestazioni a tema, piene di gente vestita con abiti dal gusto etnico, con bancarelle di bigiotteria e oggettistica afro-asiatica (magari made in China), bancarelle di kebab (che ormai spopolano ovunque), gruppi che suonano musica etnica, rasta e marijuana a volontà. Ma se non vogliamo essere sopraffatti dalla cultura Usa, perchè bisogna autoimporsi uno stile "mondialista", altrettanto monocorde? Il sostegno all'integrazione ai migranti è il contrario del concetto di non globalizzare, che dovrebbe prevedere di aiutare le popolazioni più povere nei loro luoghi d'origine, dando loro la possibilità di progredire (anche se già questo, in fondo, è uno snaturamento di una cultura). La mescolanza di etnie, in genere non porta confronto, ma porta forzatamente o alla supremazia della cultura più forte o alla creazione di una cultura nuova che fa perdere agli individui le radici del proprio passato culturale.
Non credo che il principio dell'uguaglianza comprenda il fatto di avere tutti la stessa cultura. Credo piuttosto che l'uguaglianza imponga a ciascuno di rispettare la cultura altrui, ma proprio partendo dal rispetto della propria. Ma questo non può voler dire ricreare un pezzo d'Africa o d'Asia in Italia. Altrimenti comunque una cultura verrà sopraffatta dall'altra. Allora si tratterebbe solo di decidere quale cultura imporre. Ma così facendo si ricade nell'errore che fanno coloro che vogliono diffondere la cultura occidentale in tutto il mondo. Ergo, il concetto di "no global" viene tradito: non si globalizza secondo una cultura che non si condivide, ma secondo la cultura "mondialista".
Il concetto di " no global" dovrebbe, a mio avviso, insistere anzi sul principio di esaltare le diversità per valorizzarle. Questo è forse l'idea a cui si ispira l'altra parte del mondo no global, i localisti. Ne fanno parte, ad esempio, i contadini francesi e quelli italiani (Coldiretti), che difendono la particolarità e l'unicità delle produzioni agro-alimentari nazionali, contro l'omologazione del gusto che gli organismi internazionali di settore (Unione Europea compresa) vorrebbero imporre. Un esempio analogo può essere fatto per quelle associazioni ambientaliste che lottano per il mantenimento delle biodiversità nelle diverse aree geografiche.
Presa sotto questo aspetto, la battaglia no global è giusta e condivisibile anche da parte mia. Il problema sta nel fatto che il movimento no global non potrà essere un interlocutore credibile finchè non isolerà le frange violente e non chiarirà queste contraddizioni di fondo.

Thursday, May 18, 2006

Forza paris!

DIMONIOS
China su fronte si ses sezzidu pesa!
ch'es passende sa Brigata tattaresa
boh! boh! e cun sa mannu sinna
sa mezzus gioventude de Saldigna.

Semus istiga de cudd'antica zente
ch'à s'innimigu frimmaiat su coro
boh! boh! es nostra oe s'insigna
pro s'onore des'Italia e de Saldigna.

Da sa trincea finas'a sa Croazia
sos "Tattarinos" han'iscrittu s'istoria
boh! boh! sighimos cuss'olmina
onorende cudd'erenzia tattarina.

Ruiu su coro e s'animu che lizzu
cussos colores adornant s'istendarde
boh! boh! e fortes che nuraghe
a s'attenta pro mantenere sa paghe.

Sa fide nostra no la pagat dinari
aioh! dimonios! avanti forza paris.

DIAVOLI
Abbassa la frontese sei seduto, alzati!
perchè sta passandola Brigata "Sassari"
e con la mano benedici e segnala
miglior gioventù di Sardegna.
Siamo la traccia di quell'antica gente
che fermava il cuore al nemico
Oggi le loro insegne sono nostre
per l'onore dell'Italia e della Sardegna.
Dalla trincea fino alla Croazia
i "sassarini" hanno scritto la storia
seguiamo le loro orme
onorando quell'eredità "sassarina".
Rosso il cuore l'animo come il giglio,
questi colori adornano il nostro stendardo
e forti come i nuraghi
siamo sempre vigili per mantenere la pace.
La nostra fedeltà non ha bisogno di essere remunerata
andiamo! Diavoli!avanti, Forza Insieme!
www.assonazbrigatasassari.it

Io il mattino del 2 di giugno da qualche anno mi metto davanti alla tv. In televisione il 2 giugno trasmettono la diretta della parata militare in via dei Fori Imperiali, a Roma. Il due giugno si festeggia la scelta repubblicana del nostro Paese. Quando mi ricordo espongo anche la bandiera. Quella tricolore. Faccio questa precisazione perchè in molti il 25 aprile, altro giorno di festa nazionale sfilano con bandiere rosse di vario genere: alcune con la falce e il martello, altre con l'effige di un uomo barbuto. Il 25 aprile si ricorda la liberazione dal nazifascimo. Una parte degli italiani ha deciso di far diventare il 25 aprile una festa della sinistra italiana, in quanto questa parte politica si ritiene depositaria della democrazia di questo Paese. Per questo motivo coloro che non sono di sinistra vengono aggrediti e cacciati dai cortei del 25 aprile. Come è successo ad un Ministro della Repubblica a Milano quest'anno. Tra l'altro quest'anno il 25 aprile è stato usato dalla sinistra anche per festeggiare la sua risicata vittoria elettorale. Con buona pace dell'Italia che non li ha votati.
Dico tutto questo perchè qualche neoeletto Ministro della Repubblica, politicamente legato alla sinistra cosidetta "radicale", ha dichiarato che proporrà l'abolizione della parata militare del 2 giugno. Io non sono d'accordo. Magari convengo che la rassegna di tutti i mezzi militari a volte pùo essere noiosa ed anche un pò "fuori moda". Ma la sfilata dei corpi militari è uno dei più bei momenti che le istituzioni pubbliche possano offrire. Il problema è che i contrari alla parata di cui ho detto in precedenza sono contrari non perchè la parata sia noiosa; e neanche perchè quel giorno vorrebbero andare al mare. No, sono contrari perchè dichiarandosi pacifisti non condividono tutto ciò che è legato al mondo militare. Potessero farlo abolirebbero anche l'esercito, perchè l'Italia ripudia la guerra e quindi non ha bisogno dell'esercito. Probabilmente per loro l'unica festa nazionale è il 25 aprile, in quanto se ne sono appropriati, dichiarandosi gli unici difensori della democrazia di questo Paese. Il loro concetto di Patria si evince dal numero di bandiere tricolori presenti ai loro cortei (generalmente pario vicino a 0). Caro Presidente Ciampi, sarà contento che dopo averla incensata in tutti i modi questi signori abbiano aspettato solo 2 giorni dalla sua uscita di scena per cercare di cancellare la festa che Lei ha ripoortato in auge?
Alla festa del 2 giugno ci tengo perchè non è una festa di "guerra", come dicono i signori di prima. Il 2 giugno è la festa dell'Italia repubblicana, che rende onore ai cittadini che scelgono di indossare una divisa per difendere (se necessario) i propri concittadini e di rappresentare il proprio Paese in giro per il mondo. Tra l'altro mi pare che i nostri militari ci rappresentino benissimo.
Sapete qual è il momento più bello della parata del 2 giugno? Il momento più bello è quello in cui in via dei Fori Imperiali sfila la Brigata Sassari. La Brigata Sassari è uno dei reparti più gloriosi del nostro esercito. Durante la prima Guerra Mondiale fu l'unica brigata italiana a ricevere come onoreficenze 4 medaglie d'oro alla bandiera della brigata (se pensate che una medaglia d'oro in genere viene assegnata ad un soldato deceduto sul campo di battaglia, provate a immaginare cosa significano 4 medaglie d'oro alla brigata in 40 mesi di guerra). Adesso la Brigata Sassari è uno dei reparti massicciamente impiegati nelle missioni all'estero. Veder sfilare la Brigata Sassari è così emozionante perchè i commilitoni cantano a squarciagola in sardo la loro fanfara, Dimonios, i cui versi sono riportati e tradotti all'inizio del post. Di solito, sentendoli cantare mi vengono i brividi e le lacrime agli occhi: mi emoziono perchè penso a cosa rappresenta per il nostro Paese la brigata Sassari, al sacrificio offerto nella prima Guerra Mondiale, all'onore che andrebbe giustamente reso a questi "patrioti", troppo spesso trascurati o sconosciuti ai più. E leggendo i versi della fanfara non trovo tracce di intenzioni bellicose; trovo la volontà di un gruppo di uomini (orgogliosi della propria storia) di onorare il proprio Paese e, se necessario, di difenderlo da chi tentasse di aggredirlo, ma sempre con l'obiettivo di poter favorire la pace. Credo siano i sentimenti che tutti gli italiani dovrebbero avere in cuor loro. Con un arcaismo si potrebbe chiamare "amor patrio". Se leggete il motto sullo stemma della Brigata (Sa vida pro sa Patria) il senso del mio discorso risulta chiaro.
Per questo credo che chi propone di abolire la parata del due giugno disonori anzitutto la storia di questo Paese, nonchè il senso di appartenenza che tiene insieme la nostra Nazione. Lo mancanza del senso della Patria travestito da pacifismo è uno dei peggiori mali che una Comunità nazionale può portare in seno, soprattutto se viene da esponenti politici dell'Esecutivo. Vuol dire disonorare il proprio passato, infamando il presente.