Friday, May 12, 2006

Regime?



Nella foto allegata vedete un esempio di come l'onorevole Pecoraro Scanio manifesta il suo cordoglio durante i funerali di Stato per i militari italiani caduti in Iraq. Per la cronaca l'altro compare è il diessino presidente della Regione Emilia-Romagna, Vasco Errani. Complimenti.
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«Sono uscito per non vederli. Siamo usciti tutti, noi che non eravamo di picchetto e potevamo farlo, per non vedere chi ha sempre sputato sui nostri militari in Iraq sfilare di fronte ai feretri di tre colleghi morti per la Patria, morti perché in quella missione ci credevano». È l'amaro sfogo di uno dei tanti carabinieri che ieri erano all'ospedale militare del Celio, dove è stata allestita la camera ardente per il capitano dell'esercito Nicola Ciardelli e i marescialli dei carabinieri Carlo De Trizio e Franco Lattanzio. Le persone che i militari non volevano vedere erano Romano Prodi, Francesco Rutelli, Piero Fassino e Massimo D'Alema, che ieri, alle 10.28, si sono recati al Celio. I colleghi dei soldati morti a Nassiriya non dimenticano. Non possono cancellare con un colpo di spugna le parole dei vertici dell'Unione, che hanno ribadito spesso la necessità di ritirare le truppe da quella che hanno definito una «missione inutile». E nel giorno del dolore, quando tanti carabinieri sono stati chiamati a fare turni estenuanti (dalle 7 di mattina alle 9 di sera) per stare accanto alle bare dei caduti e ai loro familiari, loro lo hanno fatto senza battere ciglio. Lo avrebbero fatto anche fuori servizio. E in molti, infatti, pur essendo nel loro giorno di riposo, sono rimasti per molte ore fuori dalla camera ardente. Ma quello che questi militari non sopportano è «l'ipocrisia di chi vuole farsi vedere dalle telecamere oggi, oggi che questi tre colleghi sono degli eroi, viene qui a mettersi in mostra accaparrandosi un valore che non gli appartiene: l'orgoglio per una nazione»
(Pezzo dal thread "Rabbia dell'Arma contro la sinistra" dal blog controcorrente.ilcannocchiale.it)
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A Milano gli "autonomi" (autonomi da chi?) dei centri sociali, manifestando per la festa del primo maggio (pur non avendo mai lavorato un minuto in vita loro), come di consueto hanno inneggiato a "...10, 100, 1000 Nassiriya". Ovviamente mentre a Roma si vegliava sulle salme dei tre caduti. Datemi un motivo per cui io non dovrei andare in piazza la prossima volta a rompere loro le gambe a bastonate e far loro ingoiare i denti.
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A Milano Letizia Moratti ha dovuto abbandonare i cortei del 25 aprile e del primo maggio per evitare un concreto rischio di linciaggio; il rischio non veniva da black blocks, disobbedienti o quant'altro, ma da apparentemente traquilli cittadini di mezza età, probabilmente convinti (da qualcuno) che tutto ciò che non è di sinistra è fascita.Potremmo dire che Berlusconi ha una parte del merito di questo odio reciproco, avendolo istigato. Ci sono due problemi però. Primo non ho visto di recente cortei di centrodestra in cui si aggrediscono fisicamente delle persone; secondo si insiste sul fatto che Berlusconi parli del passato quando parla dei comunisti. Ma le bandiere rosse dei partiti neo-comunisti italiani, quelle dell'Unione Sovietica, quelle di Cuba, quelle con l'effige di Che Guevara c'erano ai cortei, eccome. Cosa poi centrino con la liberazione e col lavoro...Capisco che si possa odiare Berlusconi, ma Letizia Moratti cos'ha fatto per meritare questo? Ha ucciso qualcuno?Ha rubato? No, ha solo fatto una riforma che, condivisibile o meno, è pur sempre una riorganizzazione del sistema scolastico, non una legge liberticida. Ma forse per la sinistra chi tocca il centro del suo potere culturale, cioè la scuola, è peggio del diavolo...
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Nella prima seduta della Camera dei deputati il neoeletto dis-onorevole Caruso ha abbandonato l'Aula quando il presidente ha chiesto un minuto di silenzio per i tre militari uccisi.
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Prove generali di regime? O è l'inizio della felicità promessa da Prodi?

Il Paese spaccato a metà

Se dovessi scegliere la frase più inflazionata in Italia in questo periodo propenderei necessariamente per uno dei pochi concetti veramente bipartisan in voga in questo momento: "Il Paese è spaccato a metà". Divertente l'incongruenza tra il concetto che la frase esprime (spaccatura, divisione) e la sua trasversalità rispetto all'arco parlamentare.
Questa frase se la sono lasciata uscire dalle labbra tutti, politici, giornalisti, imprenditori, sindacalisti, prelati, gente comune. Quelli politicamente orientati verso il centrodestra gridandola, come uno sfogo per dire che la sinistra, vincente per un soffio alle elezioni (tra mille perplessità dovute ad una riconta dei voti mancata perchè non prevista dalla legge, ma che sarebbe stata utile per fugare qualsiasi dubbio), non deve permettersi un'occupazione militare delle istituzioni (come in realtà sta facendo). Quelli orientati verso il centrosinistra sussurrandola, onde non cancellare il contenuto politico di una vittoria già di per sè sbiadita. Bene, quest'idea che il Paese è spaccato in due è una grande falsità da un lato, ma una grande verità dall'altro.
La grande falsità sta nel fatto che il Paese è si spaccato, ma non certo dal 10 aprile 2006. Volete dire che dal '94 in poi l'Italia non è stata divisa tra destra e sinistra, pur con alcuni distinguo? Volete dire che se una coalizione vinceva col 55% e l'altra perdeva col 45% il Paese non sarebbe stato spaccato in due? La nuova legge elettorale e la maggioranza risicata al Senato hanno acuito questa percezione, ma non sono i fattori determinanti della stessa. Così come il berlusconismo e l'antiberlusconismo segnano idealmente lo scontro ma non lo determinano nella sua genesi.
Qui sta la grande verità: che l'Italia è spaccata in due culturalmente, ideologicamente, al di là di quanto dicono i numeri delle elezioni. Questo è un segno positivo in un contesto bipolare, dove devono per forza confrontarsi due diverse idee di Stato, di economia, di società. Il tutto è una garanzia dalla puzza frequentemente avvertita nei palazzi del potere di involuzioni neocentriste e consociative di matrice exdemocristiana. Mi spiace, se il centrismo è uno strumento di facilitazione del confronto tra idee diverse ben venga, ma se diventa un obiettivo politico chi lo persegue si è perso gli ultimi 15 anni di vita politica italiana.
Il problema sta nel fatto che le due idee che si confrontano nel Paese non riescono a legittimarsi a vicenda, favorendo gli estremismi. Berlusconi con la sua "minaccia comunista" tende a prefigurare una deriva che in Italia non rischiamo più. Dall'altro lato bollare tutto ciò che sta attorno a Berlusconi ( dai partiti alle persone, dai giornali alle aziende, fino agli Stati Uniti) come parte di un regime (possibilmente accostato all'aggettivo fascita), vale quanto il bue che dice cornuto all'asino.
Il fatto è che in questo Paese si sta combattendo dall'8 agosto 1943 una guerra civile di proporzioni gigantesche: fascisti e partigiani, Dc e Pci, Stato e Br, centrodestra e centrosinistra, Berlusconi e Prodi. La memoria e la difesa dei valori della Resistenza e il revisionismo storico sono due aspetti perduranti di uno scontro, a volte sotteraneo e silenzioso, che mina le fondamenta della pacificazione sociale della nazione italiana. Finchè non riusciremo a consegnare il ventennio e la seconda guerra mondiale alla storia, metà dei cittadini di questo Paese continuerà a vivere nell'angoscia che l'altra metà prenda il potere, al di là di Berlusconi e dei comunisti. Finchè qualcuno continuerà a difendere l'identità, la cultura e la tradizione fascista così come quella comunista questo Paese non potrà lasciarsi alle spalle gli opposti estremismi. Il problema è che, dati elettorali alla mano, il cartello di partiti "neofascisti" ha raccolto alle elezioni circa l'1%. I partiti "neocomunisti" valgono almeno il 10% (senza contare quelli che la falce e martello ce l'hanno "scolpita nel cuore", vero on. D'Alema?), e faranno parte del prossimo esecutivo, oltre ad avere la presidenza della Camera. Colpa del fatto che questo Paese ha "assaggiato" solo il regime fascista, o anche colpa di qualcuno che non si è accorto che la guerra è finita, che a Berlino è caduto un Muro e che il comunismo non è stato altro che una copia rovesciata del totalitarismo di destra?

Tifosi smarriti

Il mondo del pallone è sottosopra. Dopo essere resistito ad innumerevoli scandali, da quello dei passaporti, a quello delle squadre con buchi di bilancio tali da far impallidire un'azienda fallita, passando per lo scandalo doping, questa industria (perchè di questo si tratta) sta vivendo la sua bancarotta. Il giocattolo si è rotto.
Quando lo scandalo doping investì altri sport, ciclismo in primis, i signori del calcio si affrettarono a dire che il calcio no, era uno sport pulitissimo e pieno di lealtà sportiva. E i media a sostenere servilmente questa tesi, impegnandosi invece a sputtanare altri ambienti (sempre il ciclismo in testa) dove invece il marcio c'era, e andava spazzato via. E allora tutti a trattare i ciclisti come criminali, come ladri. Per non parlare di altri sport, dall'atletica al nuoto, in cui il sospetto di prestazione gonfiate è storicamente presente, perchè, periodicamente, qualche atleta faceva il furbo. Ma il calcio no, è pulito come l'acqua di sorgente. Nell'ultima edizioni dei mondiali se non sbaglio non è stato riscontrato un caso di doping. Fantascienza.
Il processo per doping contro la Juventus, unica azione giudiziaria forse mirata a far luce su questo male del pallone, è finito con l'assoluzione degli imputati. Non voglio dire che solo gli juventini si dopassero, anzi. Ma la sentenza è sintomatica del potere assunto dal calcio come ambiente, nonchè della sua capacità di nascondere lo sporco sotto il tappeto.
Questo del doping è solo un'esempio dei problemi di questo ambiente: parliamo dei passaporti? Parliamo delle scommesse? Parliamo del "doping amministrativo"? Potremmo, ma sarebbe inutile. Una cosa però, da studente di economia, mi ha infastidito. Se una qualsiasi azienda non è in grado di pagare i suoi debitori viene dichiarata insolvente e fallisce. Se un'azienda non paga le imposte per anni prima o poi viene sequestrata dalla magistrtatura e possibilmente i suoi amministratori vengono arrestati. Di solito non succede che tale azienda scenda a patti con l'Ufficio delle Entrate per rateizzare il debito fiscale Per le squadre di calcio (che sono delle aziende) questo non succede. L'impunità di certi ambienti, di certe organizzazioni, è la peggior immagine che le istituzioni di uno Stato possono dare ai propri cittadini.
Dopo l'aura di impunità che il calcio ha avuto in questi anni, ora la giostra ha smesso di girare. Forse la misura era colma. Comunque sia tutti ora si affrettano a prendere le distanze, a dire che bisogna fare pulizia, a dire che è finita un'epoca, mezzi d'informazione in testa. Va detto però, che se il calcio era un regime, come ogni regime, per mantenersi integro, aveva bisogno di controllare i mass media. E dalle indagini pare che il calcio non smentisse questa regola. Non è che forse i mass media e i loro editori traggono dal calcio la maggior parte dei loro profitti grazie anche alle polemiche che riescono a creare e a far girare attorno ad esso?
Volendo trovare una chiave di lettura, il momento in cui il calcio ha perso la sua innocenza è proprio questo: il momento in cui una società si proccupa più di spuntare contratti televisivi milionari che di riempire uno stadio di tifosi. I termini sono stati invertiti: da più tifosi = più soldi = più risultati, a più risultati = più soldi. Ovviamente nella seconda equazione i tifosi non entrano neanche di striscio. Sono ininfluenti perchè oramai asuefatti al regime. E di fronte al crollo di certezze granitiche tutti noi tifosi ci ritroviamo, come i tedeschi dell'est di fronte al Muro di Berlino che viene abbattuto, inevitabilmente smarriti.
Se magari la tv, per quanto concerne lo sport, mostrasse anche qualcosa d'altro, le cosidette discipline minori (minori nel senso che in quegli sport girano meno denari) avrebbero più dignità, mentre qualche paperone del calcio (calciatore, procuratore, dirigente o...arbitro che sia) si ritroverebbe qualche miliardo di meno in tasca. Ma di sicuro non morirebbe di fame.

Thursday, May 11, 2006

Incipit

Takabanda! Inizia l'avventura di questo blog. Sono emozionato come poche altre volte prima d'ora. Sto per scrivere qualcosa che chiunque potrà leggere, valutare, commentare. Essere letti da altri, oltre ad essere un privilegio, è anche una grande responsabilità per chi scrive.
Chi non mi conosce troverà strano il titolo di questo blog. Cerco di spiegarvelo.
Ciopa è il mio soprannome, quello con cui ormai sono noto ai più nel mio paese. Il soprannome nasce dal lavoro dei miei genitori, che da trent'anni gestiscono un panificio. Come potete immagginare la vita lavorativa del panificio e quella familiare sono per me sostanzialmente la stessa cosa. Per questo il pane è diventato un pò il simbolo di quello che sono. Bel simbolo il pane...alimento di vita. (Buono come il pane non c'entra niente perchè buono di carattere non sono mai stato, a detta di chi mi conosce).
Il titolo Ciopa is blog nasce per imitazione di un blog che avrà certamente più lettori del mio, e cioè quello di Mick Foley, wrestler noto come "The Hardcore Legend", la leggenda del wrestling estremo, violento. Inutile dire che seguo il wrestling e che Mick Foley è il mio idolo. Ma di lui e del wrestling parleremo in futuro... Come Mick più volte ho ritenuto ridicola questa fioritura di blog nella rete. E alla fine, come lui (Foley is blog), ne ho aperto uno anch'io. Mi sono sempre chiesto perchè tutta questa gente sentisse il bisogno di scrivere quello che le passa per la testa. Ora lo sto capendo, iniziando questa avventura.
A tutti coloro vorranno apportare un contributo ad essa, grazie fin d'ora.