Tuesday, September 19, 2006

La Cina è vicina

Il viaggio diplomatico del governo italiano in Cina è stato ricco di risultati...comici. Sono stati rafforzati i rapporti diplomatici, sono stati stretti accordi commerciali (in particolare dall'onnipresente presidente di Confindustria, Luca Cordero di Montezemolo, che in qualità di presidente di Fiat ha chiuso un accordo per una joint venture con investitori locali), Prodi ha dichiarato la sua disponibilità a ritirare l'embargo europeo sull'esportazione di armi alla Cina (in segno di pace, probabilmente). Infine il Ministro della Famiglia Rosy Bindi ha firmato un trattato bilaterale che faciliterà l'adozione di orfani cinesi da parte di famiglie italiane. Il Ministro ha dichiarato anche che "Ora sarà soddisfatta la rischiesta di molte famigie italiane che desiderano adottare uno di questi poveri bambini che soffrono". Comprendiamo. Resta da capire perchè teniamo gli orfani italiani negli istituti, perchè non si guarda alle esigenze, da questo punto di vista, dei paesi dell'europa orientale appena entrati nell'UE (che in quanto ad orfani...), ma si sente l'esigenza di favorire proprio le adozioni dalla Cina. Mistero.
Poi bisognerebbe chiedere ai rappresentanti italiani perchè non hanno parlato con gli interlocutori cinesi di diritti umani, di libertà civili, di immigrazione nel nostro Paese (come arrivano i cinesi? Chi li manda qui? Quando muoiono, dove vanno a finire i cadaveri? Perchè buona parte dei ristoranti cinesi sono sempre vuoti ma non chiudono per fallimento? Perchè i gestori di tali ristoranti vanno ogni settimana in banca per farsi liquidare assegni a da 5/10 mila euro?). Forse queste domande i nostri rappresentanti dovevano farsele prima di partire per il viaggio diplomatico. Magari questo è il prezzo che la Cina chiede a chi vuol fare affari nel suo territorio. Pechino val bene una messa, verrebbe da dire. Meglio di no, visto che anche i cattolici non sono proprio popolari nella terra di Mao.

Monday, September 18, 2006

Fede e ragione




Aula Magna dell’Università di Regensburg
Martedì, 12 settembre 2006

Fede, ragione e università. Ricordi e riflessioni.
...anche di fronte ad uno scetticismo così radicale resti necessario e ragionevole interrogarsi su Dio per mezzo della ragione e ciò debba essere fatto nel contesto della tradizione della fede cristiana: questo, nell'insieme dell'università, era una convinzione indiscussa.
Tutto ciò mi tornò in mente, quando recentemente lessi la parte edita dal professore Theodore Khoury (Münster) del dialogo che il dotto imperatore bizantino Manuele II Paleologo, forse durante i quartieri d'inverno del 1391 presso Ankara, ebbe con un persiano colto su cristianesimo e islam e sulla verità di ambedue...
...vorrei toccare solo un argomento – piuttosto marginale nella struttura dell’intero dialogo – che, nel contesto del tema "fede e ragione", mi ha affascinato e che mi servirà come punto di partenza per le mie riflessioni su questo tema.
Nel settimo colloquio (διάλεξις – controversia) edito dal prof. Khoury, l'imperatore tocca il tema della jihād, della guerra santa. Sicuramente l'imperatore sapeva che nella sura 2, 256 si legge: "Nessuna costrizione nelle cose di fede". È una delle sure del periodo iniziale, dicono gli esperti, in cui Maometto stesso era ancora senza potere e minacciato. Ma, naturalmente, l'imperatore conosceva anche le disposizioni, sviluppate successivamente e fissate nel Corano, circa la guerra santa. Senza soffermarsi sui particolari, come la differenza di trattamento tra coloro che possiedono il "Libro" e gli "increduli", egli, in modo sorprendentemente brusco che ci stupisce, si rivolge al suo interlocutore semplicemente con la domanda centrale sul rapporto tra religione e violenza in genere, dicendo: "Mostrami pure ciò che Maometto ha portato di nuovo, e vi troverai soltanto delle cose cattive e disumane, come la sua direttiva di diffondere per mezzo della spada la fede che egli predicava". L'imperatore, dopo essersi pronunciato in modo così pesante, spiega poi minuziosamente le ragioni per cui la diffusione della fede mediante la violenza è cosa irragionevole. La violenza è in contrasto con la natura di Dio e la natura dell'anima. "Dio non si compiace del sangue - egli dice -, non agire secondo ragione, „σὺν λόγω”, è contrario alla natura di Dio. La fede è frutto dell'anima, non del corpo. Chi quindi vuole condurre qualcuno alla fede ha bisogno della capacità di parlare bene e di ragionare correttamente, non invece della violenza e della minaccia… Per convincere un'anima ragionevole non è necessario disporre né del proprio braccio, né di strumenti per colpire né di qualunque altro mezzo con cui si possa minacciare una persona di morte…".
L'affermazione decisiva in questa argomentazione contro la conversione mediante la violenza è: non agire secondo ragione è contrario alla natura di Dio. L'editore, Theodore Khoury, commenta: per l'imperatore, come bizantino cresciuto nella filosofia greca, quest'affermazione è evidente. Per la dottrina musulmana, invece, Dio è assolutamente trascendente. La sua volontà non è legata a nessuna delle nostre categorie, fosse anche quella della ragionevolezza. In questo contesto Khoury cita un'opera del noto islamista francese R. Arnaldez, il quale rileva che Ibn Hazm si spinge fino a dichiarare che Dio non sarebbe legato neanche dalla sua stessa parola e che niente lo obbligherebbe a rivelare a noi la verità. Se fosse sua volontà, l'uomo dovrebbe praticare anche l'idolatria.
A questo punto si apre, nella comprensione di Dio e quindi nella realizzazione concreta della religione, un dilemma che oggi ci sfida in modo molto diretto. La convinzione che agire contro la ragione sia in contraddizione con la natura di Dio, è soltanto un pensiero greco o vale sempre e per se stesso? Io penso che in questo punto si manifesti la profonda concordanza tra ciò che è greco nel senso migliore e ciò che è fede in Dio sul fondamento della Bibbia. Modificando il primo versetto del Libro della Genesi, il primo versetto dell’intera Sacra Scrittura, Giovanni ha iniziato il prologo del suo Vangelo con le parole: "In principio era il λόγος". È questa proprio la stessa parola che usa l'imperatore: Dio agisce „σὺν λόγω”, con logos. Logos significa insieme ragione e parola – una ragione che è creatrice e capace di comunicarsi ma, appunto, come ragione. Giovanni con ciò ci ha donato la parola conclusiva sul concetto biblico di Dio, la parola in cui tutte le vie spesso faticose e tortuose della fede biblica raggiungono la loro meta, trovano la loro sintesi. In principio era il logos, e il logos è Dio, ci dice l'evangelista. L'incontro tra il messaggio biblico e il pensiero greco non era un semplice caso. La visione di san Paolo, davanti al quale si erano chiuse le vie dell'Asia e che, in sogno, vide un Macedone e sentì la sua supplica: "Passa in Macedonia e aiutaci!" (cfr At 16,6-10) – questa visione può essere interpretata come una "condensazione" della necessità intrinseca di un avvicinamento tra la fede biblica e l'interrogarsi greco.
In realtà, questo avvicinamento ormai era avviato da molto tempo. Già il nome misterioso di Dio dal roveto ardente, che distacca questo Dio dall'insieme delle divinità con molteplici nomi affermando soltanto il suo "Io sono", il suo essere, è, nei confronti del mito, una contestazione con la quale sta in intima analogia il tentativo di Socrate di vincere e superare il mito stesso. Il processo iniziato presso il roveto raggiunge, all'interno dell'Antico Testamento, una nuova maturità durante l'esilio, dove il Dio d'Israele, ora privo della Terra e del culto, si annuncia come il Dio del cielo e della terra, presentandosi con una semplice formula che prolunga la parola del roveto: "Io sono". Con questa nuova conoscenza di Dio va di pari passo una specie di illuminismo, che si esprime in modo drastico nella derisione delle divinità che sarebbero soltanto opera delle mani dell'uomo (cfr Sal 115). Così, nonostante tutta la durezza del disaccordo con i sovrani ellenistici, che volevano ottenere con la forza l'adeguamento allo stile di vita greco e al loro culto idolatrico, la fede biblica, durante l'epoca ellenistica, andava interiormente incontro alla parte migliore del pensiero greco, fino ad un contatto vicendevole che si è poi realizzato specialmente nella tarda letteratura sapienziale. Oggi noi sappiamo che la traduzione greca dell'Antico Testamento, realizzata in Alessandria – la "Settanta" –, è più di una semplice (da valutare forse in modo addirittura poco positivo) traduzione del testo ebraico: è infatti una testimonianza testuale a se stante e uno specifico importante passo della storia della Rivelazione, nel quale si è realizzato questo incontro in un modo che per la nascita del cristianesimo e la sua divulgazione ha avuto un significato decisivo. Nel profondo, vi si tratta dell'incontro tra fede e ragione, tra autentico illuminismo e religione. Partendo veramente dall'intima natura della fede cristiana e, al contempo, dalla natura del pensiero greco fuso ormai con la fede, Manuele II poteva dire: Non agire "con il logos" è contrario alla natura di Dio...
...Il coraggio di aprirsi all'ampiezza della ragione, non il rifiuto della sua grandezza – è questo il programma con cui una teologia impegnata nella riflessione sulla fede biblica, entra nella disputa del tempo presente. "Non agire secondo ragione, non agire con il logos, è contrario alla natura di Dio", ha detto Manuele II, partendo dalla sua immagine cristiana di Dio, all'interlocutore persiano. È a questo grande logos, a questa vastità della ragione, che invitiamo nel dialogo delle culture i nostri interlocutori. Ritrovarla noi stessi sempre di nuovo, è il grande compito dell'università.
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Ho avuto la pazienza di leggere il discorso del Santo Padre e, visto il caos mediatico di questi giorni, ritengo opportuno rilevare i seguenti passaggi logici:
  1. Il discorso ha ad oggetto il rapporto tra fede e ragione, non quello tra religioni;
  2. La tesi che il Papa sostiene non offende in alcun modo l'islam, dice semplicemente che la diffusione tramite spada della fede è contro Dio. A rigor di logica, tutti i mussulmani che si dichiarano moderati e che dichiarano che l'islam è la religione della pace e dell'amore, devono essere d'accordo;
  3. Il Papa non ha motivo di scusarsi. Infatti non si è scusato: si è detto "rammaricato" del fraintendimento. Cioè è irritato dal fatto che chi contesta le sue parole non voglia cercare di comprenderle, ma le usi strumentalmente;
  4. Molti mussulmani che contestano e chiedono le scuse del Papa non hanno letto il suo discorso
  5. I cortei nei Paesi islamici sono organizzati da leader politico-religiosi che sfruttano una stortura dei media e l'ignoranza del popolo per fare gli offesi, dichiarare che conquisteranno Roma abbattendone le mura (spero in senso figurato, cioè spero che sappiano che a Roma non ci sono più le mura da un pò di tempo), nonchè invitare i mussulmani ad uccidere il Papa;
  6. Gli striscioni dei cortei e le bandiere da bruciare sono fornite dagli stessi capi politico-religiosi, nonchè dai media occidentali che devono fare le foto delle bandiere bruciate;
  7. Le vignette apparse sui media arabi riguardanti il Papa sono peggio di quelle su Maometto di inizio anno; nel mondo cattolico e/o occidentale però nessuno si scandalizza;
  8. I leader politici europei, che si calano per l'ennesima volta le braghe, sono dei conigli (salvo Angela Merkel).
  9. Joseph Ratzinger è un uomo con le palle.

Angoscia



Da venerdi notte al mio paese, come in gran parte della provincia di Venezia, è scattata l’emergenza per lo straripamento dei fiumi che ha causato l’allagamento di molti quartieri e l’evacuazione di alcune famiglie. Oggi non piove. L’emergenza dovrebbe rientrare già entro stasera.
Quello che mi porterò dentro come ricord di questa esperienza, che pur non mi ha toccato in modo diretto, è l’angoscia. L’angoscia che provi per il disagio in cui si trovano i tuoi compaesani. L’angoscia nel pensare a cosa può voler dire avere l’acqua che ti entra in casa e che danneggia quello che per molti è il sacrificio di una vita (la casa appunto), nonché il luogo in cui ci si sente “al sicuro” per eccellenza. L’angoscia nel pensare ai tuoi amici che sono in questa situazione quando tu puoi fare poco o niente. L’angoscia nel sentirti inutile di fronte ad un corso d’acqua che minaccia di tracimare da un momento all’altro. L’angoscia nel pensare alle persone che sono costrette a lasciare le loro case in balia degli eventi perché in una situazione di rischio per l’incolumità personale. L’angoscia infine, nel percepire il disinteresse della gente che non è toccata da questi eventi, quasi a dire “a casa mia le cose sono a posto, quanto agli altri cazzi loro”. L’angoscia nel vedere le facce quasi divertite di chi non ha la casa a mollo, quasi a voler dire ”Che bello finalmente c’è qualcosa di divertente e di nuovo da vedere in questo paese in cui non succede mai niente”.
Qualcuno dice che la nostra è l’epoca dell’individualismo e dell’indifferenza. Quanta verità in queste parole.