Wednesday, October 18, 2006

Scontro ideologico

È la prima presentazione de «La grande bugia. Le sinistre italiane e il sangue dei vinti», il libro in testa alle classifiche. Giampaolo Pansa ha scelto Reggio Emilia, «città di misteri, terra del triangolo della morte», e ha invitato il cronista del Corriere a intervistarlo. L’autore esordisce rievocando quanto è accaduto un anno fa, in questa stessa sala dell’hotel Astoria, al termine della presentazione del suo penultimo libro, «Sconosciuto 1945». «Si alzò un signore sulla sessantina e disse: "Io non mi sento un cittadino di serie A. Sono solo un cittadino di serie B. Perché da sessant’anni cerco le ossa di mio padre, e non le ho ancora trovate».
In quel momento nella sala entra un giovane dalla testa rasata, scaraventa una copia de «La grande bugia» sul tavolo, si avventa contro Pansa e urla: «Io sono un cittadino di serie A, e lei ha scritto un libro infame per fare soldi sulle spalle della Resistenza! ». Entrano di corsa venti giovani dei centri sociali, alcuni di Reggio, altri venuti da Roma. Lunghi capelli con le treccine, pugni chiusi. Occupano la sala, srotolano striscioni rossi con le scritte «Revisionisti assassini» e «Ora e sempre Resistenza», cantano in coro «Bella Ciao».
La sala è strapiena, e ognuno reagisce a modo suo. Un gruppo di ragazzi di destra si scaglia contro i contestatori, tenta di strappare le bandiere rosse, volano spintoni e insulti. Ma pure alcuni ex partigiani si ribellano: «Siamo comunisti da cinquant’anni ma siamo qui per ascoltare Pansa, se non lo fate parlare siete peggio dei fascisti!». Altre botte, altri insulti. Dalla prima fila, dove siedono tra gli altri il direttore della Mondadori Gian Arturo Ferrari, quello della Sperling Marco Ferrario, Paolo Pisanò, l’avvocato Odoardo Ascari e l’editorialista di Repubblica Edmondo Berselli, alcuni si alzano per stringersi attorno a Pansa, che però rifiuta di abbandonare la sala: «Sono qui per incontrare i miei lettori reggiani e non mi lascerò intimidire da un gruppo di intolleranti».
Il cronista del Corriere tenta di convincere i più disponibili al dialogo a leggere un comunicato e andarsene. «La sala è occupata, sarete voi ad andarvene! ». Altri cori di Bella Ciao, minacce, tafferugli con i fotografi. Vengono distribuiti volantini: «Pansa prezzolato/ con l’infamia c’hai speculato». Dalla sala ritmano: «Libertà! ». I ragazzi dei centri sociali urlano: «Viva i fratelli Cervi! Viva Giorgio Bocca!». Coro di «buuu». Pansa tenta di farli ragionare: «Non state rendendo un servizio alla memoria dei partigiani». Alla fine arrivano tre volanti della polizia e la sala viene sgomberata.
Lungo applauso per Pansa, che a tarda sera può cominciare a parlare. «Sono contento di quanto è avvenuto. Perché indica di quale carica d’odio sia intrisa la vita pubblica italiana, e quanti pregiudizi ideologici facciano velo al dibattito libero sulla storia. L’importante è comportarsi come abbiamo fatto noi stasera: restare calmi, non lasciarci intimidire, e rendere ognuno libero di esprimere la sua opinione. Loro, e noi». Aldo Cazzullo
Tratto dal sito
www.corrire.it

Ne parlo nuovamente. Di cosa? Di questa Italia che vuol fare il bipolarismo, che vuole modernizzarsi, che vuole essere un Paese “europeo”, che vuole rinnovare la sua politica e le idee che circolano in essa. Come può fare questo l’Italia? Come può fare questo un Paese in cui la politica e i partiti vivono ancora su queste risse da strada, su questi confronti di opposti estremismi?
L’ho detto, lo ripeto: l’Italia è un Paese che dal 1943 porta avanti una guerra civile più o meno strisciante, che sopporta nel suo cuore una faida infinita tra i suoi figli fascisti e comunisti, postfascisti e postcomunisti, di destra e di sinistra. L’egemonia della Dc nella politica italiana nasce dal fatto che la maggioranza dei cittadini, pur non essendo realmente “democristiana”, di sicuro poteva dichiararsi antifascista e anticomunista.
Eppure gli opposti estremismi sono riusciti, con la caduta della prima repubblica, a prevalere, riaprendo (per certi versi giustamente) un dibattito che solo apparentemente era sopito. Ma quando potremo consegnare la storia agli storici, come si usa dire? Quando questo Paese potrà avere una memoria condivisa di ciò che è stato il Ventennio e di ciò che è stata la Resistenza? Perfino la Germania, che ha vissuto la lacerazione della divisione in est e ovest, oggi sta riuscendo, seppur lentamente, ad essere una Nazione, con una memoria condivisa, che riesce ad isolare gli estremismi ed a bollarli come tali. In Italia qualsiasi confronto politico parte dal presupposto che chi è di centrodestra è, in fondo in fondo, un fascista, e chi è di centrosinistra non può essere che comunista. Con una piccola differenza: che se a destra i partiti dichiaratamente postfascisti valgono elettoralmente qualche decimo di punto percentuale (e per questo non sono entrati nella passata maggioranza di governo), a sinistra, nella maggioranza di governo, vi sono partiti che si richiamano esplicitamente ed orgogliosamente alla tradizione comunista, sia attraverso i nomi, sia attraverso i simboli. Sia soprattutto attraverso le ideologie. Ideologie che, anche attraverso il predominio dei luoghi di produzione culturale (scuole, università), tengono il nostro Paese fermo al secolo scorso.

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