Friday, August 24, 2007

Il tritacarne

Finalmente quest'anno sono riuscito a fare una settimana di ferie via da casa. Una settimana al mare che è stata occasione per un pò di riposo ma non solo. Da ogni situazione c'è qualcosa da imparare. E stare a Jesolo la settimana di ferragosto è un ottimo esercizio di studi antropologici e sociologici sul comportamento dei singoli e delle masse.
La cosa che mi ha colpito (e spero non abbia colpito solo me) passeggiando per via Bafile, soprattutto nei pressi di Piazza Mazzini, è stato il livello di devastazione cui quest'area pedonale (il "salotto buono" della città, per intenderci) è stata sottoposta, grazie alla meticolosa azione di sfascio nella quale molti giovani turisti si sono egregiamente disimpegnati.
Lungi da me dare giudizi su come dovrebbero essere gestiti l'ordine pubblico e l'apertura dei locali nella specifica circostanza (cosa sulla quale molti hanno detto di tutto e di più), quello che mi importa mettere in luce in queste righe è il comportamento delle persone. Premesso che la gran parte dei turisti va al mare per passare un periodo di ferie divertendosi e rilassandosi, resta il fatto che quanto è accaduto molte sere in piazza Mazzini (ampiamente documentato dalla stampa) dà parecchio da pensare. Evidentemente c'è una frazione del genere umano di consistenza non trascurabile per la quale divertirsi vuol dire devastarsi e devastare ciò che la circonda. De gustibus, si potrebbe dire. Già, il problema sta nel solito discorso sulla mia libertà che finisce dove comincia quelle degli altri. Francamente la cosa più deprimente di tutta questa situazione è la passività con cui tutti quanti (salvo qualche residente incazzato) accettiamo le bottiglie spaccate per terra, i bicchieri posati ovunque, i cestini che anzichè accogliere i rifiuti sembrano vomitarli, la piazza coperta di volantini delle discoteche che nessuno tiene in mano, le bande di scalmanati che girano impunemente rompendo le balle a chi si sta facendo i cazzi propri (magari cercando la rissa), gli ubriachi un pò ovunque...potrei continuare. Sembra che certi luoghi, in determinate circostanze, diventino delle zone franche, in cui tutto è permesso. Con l'approvazione di tutti, perchè in questi casi il silenzio è complice. E il discorso non vale solo per Jesolo, perchè nelle piazze di molte città situazioni simili accadono ogni weekend, o peggio, ogni sera.
Pensando a questa situazione mi è venuto in mente un evento storico del passato: la battaglia di Verdun, che nella prima guerra mondiale vide affrontarsi alleati ed austo-tedeschi sul fronte occidentale per undici mesi in uno scontro cruentissimo (700.000 perdite in vite umane in totale); bene, questa sanguinosissima battaglia, che macinò uomini e mezzi, armamenti e interi villaggi fu talmente orrenda nella scia di morte che si lasciò dietro da essere ricordata col nome di "Tritacarne di Verdun".
Ecco, anche ai giorni nostri, il tritacarne: quella specie di guerriglia urbana che si verifica in queste situazioni di irrazionalità di massa (non solo nelle piazze, intendiamoci...anche negli stadi, in alcuni cortei, nella corsa ai saldi nei centri commerciali) somiglia ad un immenso marchingegno in cui si macinano la ragione, le coscienze, l'intelligenza ed a volte anche la vita stessa delle persone in virtù di un desiderio di evasione dalla realtà che alla fine non porta a nulla. Un tritacarne che mescolando corpi, alcool, a volte droga ed una buona dose di ignoranza, produce uno svago che si riassume nei mal di testa e nell'acidità di stomaco del giorno dopo, lasciando come scarti i rifiuti che ogni mattina vengono raccolti dagli spazzini.
Se questa fosse una foto della nostra società sarebbe una foto parecchio deprimente, ed è questo il dramma. Perchè a vedere certe scene ti viene la sensazione che se i giovani, che saranno gli adulti di domani, adesso si divertono in questo modo, quando saranno "grandi" riusciranno a devastare quel poco di buono che sarà rimasto nel mondo dalle generazioni precedenti (sempre che non simo morti prima di coma etilico). Ma perchè tutto questo?
A mio avviso questa generazione di ragazzi cresciuti con troppi agi ha perso la voglia di lottare, di essere protagonista del proprio destino. Nascosti dietro ai grandi mali del nostro tempo, quali la precarietà, la crisi della società, l'incomunicabilità (che sembrano spesse volte delle vere e proprie foglie di fico), questa generazione sta abdicando, oppure ha già abdicato, al suo diritto di esistere, di darsi un futuro, di dare un colpo di spugna all'obsoleta architettura sociale che vincola irrimendiabilmente la crescita del nostro Paese. Questa generazione scambia il fancazzismo ("faccio quel cazzo che voglio") con la libertà. La libertà non è questo, la libertà è prendersi la responsabilità del proprio futuro e di ciò che lo influenzerà, politica compresa...la libertà è prendersi la briga di partecipare alla creazione delle basi (il prof. Rullani direbbe "...alla costruzione di un paradigma condiviso...") su cui la nostra società dovrà fondarsi nei prossimi 50 o 100 anni . Giorgio Gaber docet.

"La libertà non è star sopra un albero,
non è neanche un gesto o un’invenzione,
la libertà non è uno spazio libero,
libertà è partecipazione."

Partecipazione. Parolina magica. Libertà=partecipazione. Le conseguenze "politiche" di questa equazione, dati i presupposti chiariti in precedenza, paiono ovvie. Giovani disaffezionati alla politica, giovani che non partecipano, giovani che non votano, giovani che pensano che "tanto non cambia niente", non capendo che è proprio la loro rassegnazione a impedire il rinnovamento. Non si può parlare di una politica che non guarda ai giovani, di giovani dimenticati dalla politica, di una politica fatta dai sessantenni, se poi i giovani di fronte alla scelta di impegno politico, rinunciano sistematicamente perchè "è troppo difficile", oppure perchè "è troppo impegnativa" o infine perchè "abbiamo di meglio da fare". La politica italiana è un malato terminale, inutile negarlo. E la partitocrazia sembra essere il morbo mortale che la affligge da tempo immemore. Così, giusto per prolungare l'agonia, è stata trovata una formula che pare aver attratto anche i giovani, o quantomeno pare averli aizzati uno contro l'altro, destra contro sinistra, rivitalizzando lo scontro che fa da impalcatura alla caverna preistorica nella quale è contenuto il dibattito politico italiano. Il modello del partito (o della coalizione) i cui valori sono riassunti nella personalità di un leader forte, in grado di attrarre su di sè un ampio livello di consensi così come un ampio spettro di critiche. In questo momento si confrontano il populismo e la logica aziendalista applicata alla politica di Berlusconi da una parte e il buonismo terzomondista e inconcludente di Veltroni dall'altra. I giovani sembrano attratti dalla logica del leader dello schieramento. Forse perchè semplifica le cose. Forse perchè, una volta scelto se stare da una parte o dall'altra, si può chiudere il cervello e smettere di pensare, si può rinunciare a farsi un'opinione propria sui singoli aspetti del vivere sociale. Tanto ci pensa il leader a dettare la linea. Una generazione di gregari insomma. Gregari nella politica, gregari nella scelta degli stili di vita, nel modo di vestire, nel modo di consumare. Da questo atteggiamento deriva anche il successo dello sciame di vip o presunti tali che riempiono le pagine dei giornali di gossip o gli studi di certe trasmissioni televisive atteggiandosi da opinion leader.
Sempre Giorgio Gaber, nell'ultimo periodo della sua produzione artistica, scelse di intolare una delle sue ultime raccolte musicali "La mia generazione ha perso". Io ho la sensazione che la mia, di generazione, abbia scelto di non provare nemmeno a lottare.

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